17 maggio 2017 - Roma, stadio Olimpico - Coppa Italia, Finale - inizio ore 21.00
JUVENTUS: Neto, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Alex Sandro, Marchisio, Rincon, Dani Alves, Dybala (78' Lemina), Mandzukic, Higuain. A disposizione: Buffon, Audero, Benatia, Lichtsteiner, Mattiello, Asamoah, Kean, Sturaro, Leris, Cuadrado. Allenatore: Allegri.
LAZIO: Strakosha, Bastos (53' Felipe Anderson), de Vrij (69' Luis Alberto), Wallace, Basta, Milinkovic, Biglia, Parolo (20' Radu), Lulic, Immobile, Keita. A disposizione: Vargic, Adamonis, Patric, Hoedt, Murgia, Crecco, Lombardi, Djordjevic, Tounkara. Allenatore: S. Inzaghi.
Arbitro: Sig. Tagliavento (Terni) - Assistenti Sigg. Costanzo e Cariolato - Quarto uomo Sig. Massa - Assistenti d'area Sigg. Rocchi e Damato (riserva Sig. Marzaloni).
Marcatori: 12' Dani Alves, 25' Bonucci.
Note: ammonito all'86' Dani Alves per proteste. Angoli 2-6. Recuperi: 2' p.t., 3' s.t.
Spettatori: 66.000 circa per un incasso di Euro 3.500.000.
La Gazzetta dello Sport titola: "Dani Alves-Bonucci. Tris record in Coppa. Lazio, fatali timidezze. Bianconeri primi a vincere tre coppe Italia di seguito. Un trofeo è in cassaforte, ora scudetto nel week end?"
Continua la "rosea": Eccolo, l’inizio del raccolto dopo la grande semina. Eccolo il primo tassello di quello che la Juve spera sia un super mosaico. La Juve si prende la Coppa Italia, in attesa di prendersi lo scudetto e poi si vedrà se il raccolto sarà completo. Un raccolto da record: mai nessuno aveva vinto tre Coppe Italia di fila, mai nessuno ha vinto 6 scudetti di fila. Si può dire? Mah sì, tanto il conte Max non è superstizioso, almeno non tanto. La Lazio ci ha provato a guastare subito le speranze di una festa grande, ma quando c’è la Juve (quasi) tipo in campo è un’altra storia, è impresa ardua per tutti affrontarla. Ma proprio tutti. E quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Dani Alves, per dirne uno. Che in questo finale di stagione sembra il brasiliano imprendibile del Barcellona dei bei tempi. Altro gol pesante, altra corsa. O Alex Sandro, che continua a crescere. Ma è stata una nottata fertile per tanti, là davanti, con la coperta della BBC.
Una vittoria indiscutibile, contro un rivale degno, ma inferiore dal punto di vista della personalità oltre che della qualità. Un rivale che comunque è stato vivo fino in fondo. La partenza è stata subito degna di una finale: veloce, spettacolare, grintosa. La Juve è tornata alla difesa a 4 con due centrocampisti centrali e tre uomini dietro Higuain, con Dani Alves a suo agio nel terzetto offensivo. La Lazio era "classica" nel suo 3-5-2 con Parolo in campo, ma per poco. Mossa azzardata. Inzaghi l’ha dovuto sostituire presto con Radu per accentrare Lulic. All’alba della sfida la Juve sembrava pagare un po’ l’aggressività della Lazio, con Rincon in difficoltà (lo sarà spesso) e Marchisio che non è ancora il Principino che conosciamo. Keita si è scatenato sulle palle recuperate e il primo sussulto della serata porta la sua firma, con Bonucci dribblato e tiro deviato sul palo dallo stesso "Barza" in recupero. Ma poi la Juve ha preso le misure, ha cominciato il giro palla preciso e veloce, soprattutto in avanti, con Dybala (che portava sempre fuori posizione il povero Bastos), Dani Alves, Higuain e dall’altra parte un Alex Sandro scatenato a scambiare con Mandzukic.
Stupendo il suo cross coast to coast per il delizioso interno piatto di Dani Alves che sbloccava la partita. Ormai l’uomo dei gol pesanti. Impressionante la serie di occasioni della Juve con la difesa della Lazio che non ha visto palla. Strakosha ha limitato i danni con una serie di parate, inclusa una prodezza su Higuain. Poi però si è arreso al tocco sotto porta di Bonucci sugli sviluppi di un angolo che Alex Sandro, ancora lui, correggeva di testa. Due assist per il brasiliano. La Lazio, comunque viva dalla cintola in su, ha provato a reagire, ma era in balìa del palleggio bianconero e quelle poche volte che è riuscita a scendere fino in fondo, ci ha pensato la BBC a bloccarla. Risultato: solo un tuffo di testa, con palla abbondantemente fuori, di Immobile. Nel secondo round Inzaghi ha giocato a fare il maestro di scacchi nel tentativo di riprendere in mano una sfida che sembrava ormai fuggita via. Ha messo Felipe Anderson per Bastos, per una sorta di 4-2-4, poi ha girato uomini e schemi con l’innesto di un altro centrocampista dai piedi buoni, Luis Alberto, per De Vrij, col jolly Lulic a fare un passo indietro in mediana. Più di così, Inzaghino non poteva fare. La Juve si è limitata a gestire la partita e le sfuriate laziali cercando le ripartenze con Dybala e Higuain. Mentre Keita un po’ si spegneva, Felipe Anderson è entrato molto bene in partita e ha servito un paio di volte Immobile che di testa ha impegnato un Neto sempre attento.
Tanto possesso palla, tanto orgoglio, corsa e qualche tiro, ma poche occasioni pericolose. Non c’è stata precisione sotto porta, e comunque la Juve sembrava in controllo. Poi Allegri si è coperto con Lemina facendo rifiatare Dybala e gli spazi per la Lazio si sono ristretti. E nel finale Strakosha ha detto no per la terza volta a Higuain, ben servito da Dani Alves, con un’altra super parata. Sarebbe stata una lezione troppo severa per una squadra che anche in questa occasione ha dimostrato di meritarsi la finale e la posizione in classifica in campionato. La Juve si gode il primo trofeo con vista trionfo. Allegri l’aveva detto: "Saremo attenti, molto attenti. È l’ora di raccogliere". C’è sempre da credere al conte Max.
Il Corriere dello Sport titola: "Lazio ko. Extra Juve nella storia. Dani Alves e Bonucci, terza Coppa Italia di fila: è un record. Allegri, primo passo del triplete. Inzaghi, un palo sullo 0-0".
Prosegue il quotidiano sportivo romano: In attesa del sesto scudetto, va bene anche la terza Coppa. Ora questo successo va moltiplicato per tre, perché è al triplete che la Juve punta con tutta la sua forza, la sua immensa qualità e la sua incontenibile autorevolezza. Pure questa vittoria stabilisce un record, perché nessuna squadra ha mai vinto tre Coppe Italia di fila, senza pause, senza indugi, senza perdere tempo. Queste sono storie da Juve. L’ha vinta ieri sera all’Olimpico, dove sabato scorso aveva rinviato un’altra festa, ma la scala adesso è giusta: prima la Coppa Italia, poi il campionato, infine la Champions, in un crescendo allegriano che ha pochi eguali nella storia del calcio italiano. C’era ancora Dani Alves oltre a tutti, ha segnato e dominato la fascia, tormentando i suoi dirimpettai. Insieme a lui, Alex Sandro (due assist), in una Juve festosamente brasiliana. I campioni d’Italia non si sono avventati sulla partita, hanno impiegato non senza sofferenza i primi minuti ad assestarsi, ma la Lazio ha fatto molto prima a trovare il lato bianconero ancora scoperto, quello di destra, dove si è infilato Keita col suo razzo, ha bruciato Barzagli e Bonucci e ha centrato il primo palo, con leggera deviazione di mano dello stesso Barzagli. Se c’è una squadra a cui non va concesso spazio è la Lazio, se c’è un giocatore a cui togliere aria è Keita: era un errore così chiaro che la Juve non lo commetterà più.
Era il 6', da quel momento la squadra di Allegri ha imperversato attaccando e sorprendendo la Lazio dai corridoi laterali. Il primo gol, di marca brasiliana, è stato preparato dal cross-assist a sinistra di Alex Sandro e firmato dal destro al volo di Dani Alves, perso per strada da Lulic. Il secondo è arrivato da uno schema su corner battuto da Dybala, girato di testa da Alex Sandro e cacciato in rete da Bonucci. Ma prima, dopo e anche in mezzo ai due gol, la Juve è stata irresistibile. Al 25' aveva già concluso in porta sei volte, tutte nello specchio, e in un paio di occasioni Strakosha aveva fatto il fenomeno per evitare altri gol. Quando la differenza tecnica, fisica e atletica è così netta, non c’è tattica che tenga. Puoi giocare a tre, a quattro, a cinque, con tre attaccanti o senza attaccanti, la Lazio resta inferiore alla Juve, lo ha detto il campionato (ci sono 15 punti di differenza), lo ha ribadito la Coppa Italia in una partita secca. Quando Dybala puntava Biglia, o tagliava da destra al centro, o si infilava fra i reparti della Lazio, non c’era verso di prenderlo; quando Dani Alves (ancora complimenti al Barcellona...) attaccava a destra, Lulic non lo teneva; quando Alex Sandro (due assist) volava a sinistra, né Basta, né Bastos ce la facevano a contenerlo; e poi, quelle poche volte che la Lazio riusciva a passare la linea del pressing juventino, Barzagli e Chiellini anticipavano il gioco e i giocatori, della Lazio.
Allegri e Inzaghi diranno magari che non esistono titolari e riserve, ma rispetto all’ultimo turno di campionato la Juve aveva otto giocatori nuovi, la Lazio sette. Dopo 20', sullo 0-1, Inzaghi ha perso anche Parolo (acciaccato sabato scorso a Firenze), è entrato Radu e sono cambiate le posizioni del centrocampo laziale, con Milinkovic sul centrodestra, Lulic sul centrosinistra e Radu sulla fascia sinistra, di fronte a Dani Alves. Inzaghi cambierà di continuo l’assetto, sperando di trovare un varco in una difesa di cemento armato. Prima ha provato con Felipe Anderson a destra, il tridente e la difesa a 4, poi di nuovo a tre con Luis Alberto trequartista, infine ritorno a 4. In effetti l’inserimento di Felipe ha ravvivato l’azione offensiva della Lazio ed è stato il periodo in cui anche Neto ha avuto il suo lavoro. Qualche buona occasione per segnare è arrivata, ma poi la Juve ha controllato la reazione della Lazio e anzi ha avuto con Higuain la palla del 3-0. Prima Coppa alzata, domenica è attesa dallo scudetto, fra poco più di due settimane Cardiff. E’ una vita che la Juve vince, eppure la sua Grande Storia sembra appena iniziata.
Il Messaggero titola: "Lazio, Coppa di traverso. La Juve vince il terzo trofeo nazionale di fila, nessuno c’era mai riuscito. Decidono Dani Alves e Bonucci in tredici minuti. I biancocelesti colpiscono subito un palo con Keita, poi franano davanti l’uno-due bianconero. Parolo ko dopo 20’".
Prosegue il quotidiano romano: La Juventus, quando decide di giocare, è una macchina perfetta. Giusto il tempo di reggere l’urto iniziale della Lazio, poi non c’è stata storia. All’Olimpico finisce 2-0 per Higuain e compagni e la Coppa Italia si colora di bianconero. Esplode la gioia degli juventini che festeggiano il record di tre trofei nazionali di fila, mai nessuno ci era riuscito, e fanno il primo passo verso quel sogno chiamato triplete. I bianconeri hanno ingranato la quinta e con i cingoli sono passati sopra ai biancocelesti con giocate armoniose e belle da vedere. Dopo 25 minuti il tabellone segna 2-0. Fine dei giochi. La differenza tra le due squadre è lampante: più cattiva e abituata la Juve, meno smaliziata la Lazio. E poi Inzaghi, forse, si aggrappa troppo ad un Parolo a pezzi, sbagliando. Il dolore al ginocchio condiziona i 20 minuti della gara del biancoceleste che non affonda mai il contrasto. La Lazio all’inizio la mette sul fisico mostrandosi in palla e senza troppi timori reverenziali. Il primo sussulto lo crea il solito Keita che, lanciato da Milinkovic, coglie il palo. Ci sarebbe un mani di Barzagli che Tagliavento ignora. Risponde subito Higuain che da fuori area lascia partire un bolide ma trova i pugni di un attento Strakosha.
La Juve è letale e appena la coppia Lulic-Wallace lascia la marcatura di Dani Alves il brasiliano fa esplodere i tifosi bianconeri. Tiro imparabile. Il portiere laziale viene letteralmente bombardato: super nel doppio intervento su Dybala e Higuain. Inzaghi capisce che così non va, Parolo non ce la fa, e allora si copre di più mettendo Radu. Non c’è tempo per sistemarsi perché Bonucci anticipa tutti su calcio d’angolo e fa 2-0. Davide contro Golia. La Lazio è cresciuta tanto ma i livelli della Juventus sono altissimi. E fa stringere il cuore vedere la panchina biancoceleste alzarsi e accompagnare le azioni pericolose dei compagni. Di sicuro non pagano le scelte di Inzaghi: far giocare Parolo e la difesa a tre. Wallace, più lento dei centrali, è sempre preso d’infilata da Dani Alves. Poco preparata anche la difesa sugli schemi da calcio d’angolo della Juve: il gol di Bonucci ne è l’esempio. L’ingresso di Anderson, comunque tardivo, non cambia molto l’inerzia della gara, così come quello di Luis Alberto e i tre moduli variati in corsa. I biancocelesti eclissatisi dopo il vantaggio juventino, nella ripresa affondano un po’ di più. Complice anche il fatto che i bianconeri alzano il piede dall’acceleratore e si limitano a gestire il vantaggio.
Finisce così con la Juve che fa festa e i giocatori della Lazio a raccogliere comunque gli applausi dei propri tifosi. Resta, forse, l’amaro per aver sbagliato troppo. Ma a vincere è stata la squadra prima in Italia e tra le due più forti d’Europa. Il giudizio sui biancocelesti non cambia. Si deve ripartire da questi ragazzi per costruire il futuro. La Juve invece scrive la prima pagina di quello che può diventare un romanzo epico.
Tratte dal Corriere dello Sport, alcune dichiarazioni post-gara:
La Curva Nord e il popolo meraviglioso della Lazio gli hanno riservato una standing ovation. E’ finita tra gli applausi per Simone Inzaghi e i suoi giocatori, qualche rimpianto e molto onore, perché non si poteva pretendere di più di fronte ai colossi della Juve, in corsa per il triplete, campioni di quasi tutto e in attesa di sfidare il Real Madrid. "Stiamo parlando della finalista della Champions, eppure credo abbia trovato davanti una squadra capace di fare la sua partita. Nemmeno siamo stati fortunati, la mano che ha mandato la palla sul palo sul tiro di Keita poteva cambiare molto. Gli episodi sono decisivi e non sono stati a favore della Lazio". Sull’episodio è tornato più tardi in sala stampa, interpretandolo con una doppia chiave. La sfortuna perché quel tiro poteva finire dentro e non sul palo. E poi la decisione arbitrale. "Barzagli ha toccato con la mano. Chissà se Tagliavento, fosse capitato dall’altra parte, lo avrebbe valutato nello stesso modo" ha sospirato Inzaghi, chiedendo il rigore. Le svolte sono state tutte negative perché poi c’è stata anche l’uscita di Parolo, sceso in campo in condizioni precarie e costretto ad arrendersi al ventesimo. Inzaghi, come ha spiegato, rifarebbe la stessa scelta di partenza. "Era una finale, Marco voleva giocarla a tutti i costi, ha provato a stringere i denti. Forse era destino, credo che già da sabato a Firenze fosse segnata la Coppa Italia, al Franchi abbiamo perso due giocatori per infortunio e che erano in un ottimo momento come Lukaku e Parolo. Onore ai miei ragazzi, sono stati protagonisti di una stagione straordinaria".
Il pensiero di Simone è tornato a Firenze. "Era destino. Quando perdo Parolo avendo Lukaku non ho nessun dubbio e accentro Lulic, invece è successo che con 25 giocatori in campo si siano infortunati tutti e due l’uno a dieci minuti di distanza dall’altro". La vittoria più bella per la Lazio è stato l’abbraccio del popolo biancoceleste. Ecco il significato, l’esito lasciato in eredità dalla stagione. "Mi ha emozionato vedere uno stadio così. Grazie ai nostri tifosi, ce la siamo giocata, con un briciolo di buona sorte forse sarebbe potuta andare in modo diverso. Dispiace perdere una finale, ma onore alla squadra, perché i miei ragazzi hanno fatto una grandissima stagione. Vedere tanta gente è il frutto del nostro lavoro. A parte i risultati, la mia più grossa soddisfazione è aver riportato la gente allo stadio Olimpico. I tifosi sono stati encomiabili, ho visto una coreografia pazzesca. Il pubblico della Lazio è questo, quello che vediamo. Noi abbiamo fatto qualcosa di incredibile raggiungendo l’Europa con tre turni d’anticipo. Significa che se ce lo meritiamo i tifosi sono al nostro fianco. Volevamo regalargli la ciliegina sulla torta, ma serviva un’impresa con la Juve. Non dovevamo perdere due gol evitabili". Gli è stato chiesto perché non osare subito con Felipe e puntare sulla Lazio più offensiva della ripresa. "Penso di no, decidono gli episodi. Se la palla di Keita fosse entrata, quella di Dani Alves dopo il rimbalzo non fosse finita sotto l’incrocio, parlereste al contrario. Questo è il calcio. Abbiamo perso la partita con i numeri uno. Sul primo e sul secondo gol dovevamo fare meglio. Mi brucia questo. Durante la stagione avevamo preso solo un gol su palla inattiva. Il secondo tempo è stato buono, ma l’assetto iniziale sul 2-0 per la Juve non sarebbe più servito, è stato bravo Neto, avevamo raggiunto una finale con pieno merito, per come è andata mi resta l’amarezza".
Crederci e provarci non è bastato: "Erano troppo forti, ci abbiamo provato". Stefan De Vrij ha la voce bassa, era una partita da missione (quasi) impossibile. Resta la forza di volontà, restano la Curva Nord e i tifosi ritrovati, resta una stagione d’orgoglio e sorrisi, resta questa Lazio proiettata di nuovo nel futuro. De Vrij, dopo un respiro profondo, ha reso onore al lavoro svolto quest’anno: "Abbiamo fatto una grande stagione, la sconfitta in finale di Coppa non cambia il senso di ciò che è stato fatto. Fa male, certo. La partita era iniziata bene con l’occasione di Keita, poi abbiamo sbagliato troppo e loro sanno cosa fare in queste situazioni". De Vrij ha avuto parole di conforto per i compagni e per i tifosi: "Ci dispiace tanto per la squadra, per i tifosi, volevamo vincere questa Coppa Italia. Sapevamo quanto fosse forte la Juve e lo abbiamo visto anche questa volta". De Vrij ha lasciato il campo un’altra volta, è uscito prima, ha chiesto il cambio, ha sentito tirare un tendine, era uscito anche nel derby di ritorno di Coppa Italia e nel derby di ritorno giocato in campionato. Ha chiuso la stagione accusando problemi fisici, hanno riguardato anche il ginocchio operato nel 2015: "Come sto? Sono deluso, non so come rispondere", ha detto l’olandese, tra i pezzi pregiati di questa Lazio 2016/17.
E’ finita così, con una sconfitta. E’ finita di nuovo senza riuscire a segnare un gol alla Juve: da due anni a questa parte e da 7 partite la difesa bianconera non viene bucata dalla Lazio, l’ultimo gol risale sempre alla finale di Coppa Italia del 2015 (rete di Radu). E’ un sortilegio, che non s’interrompe. La Lazio è uscita comunque tra gli applausi, una piccola festa è stata organizzata ugualmente, una festa di consolazione. E’ stata vissuta con i tifosi, hanno chiamato la squadra sotto la Nord per due volte. E’ stata questa la vittoria più bella della stagione, la voglia di sentirsi tutti uniti, tutti stretti in un abbraccio. De Vrij e i suoi compagni speravano di regalare una gioia in più alla gente: "Abbiamo fatto ciò che potevamo, i tifosi sono stati grandissimi, ci hanno sostenuto sino alla fine, purtroppo non siamo riusciti a regalargli la vittoria, questa Coppa. Il calcio è così. Una squadra vince, una perde". Le differenze di forza sono ancora ampie: "La Juve ha giocato con la migliore squadra possibile, anche noi. Abbiamo visto quanta qualità hanno, sono tutti grandissimi giocatori e grandissimi uomini. Forse ci è mancata un po’ di fortuna nel secondo tempo, la palla non entrava, abbiamo avuto qualche occasione. La Juve, alla fine, ha meritato questa Coppa Italia".
De Vrij non ha nascosto le difficoltà incontrate in questa ennesima sfida contro i bianconeri, nonostante tutto la Lazio ci ha provato, ha sfidato la Juve dei fenomeni, ha provato a sfidare i pronostici contrari: "Loro sono stati superiori soprattutto nel primo tempo, hanno fatto due gol. Nel secondo la partita è stata un po’ più in equilibrio. Noi ci abbiamo provato, non era facile tornare in partita sul 2-0". La Lazio ha giocato come ha potuto, ha comunque riempito di emozioni un’intera stagione. Iniziata male tra assenze, vuoti, divisioni e paure, rialzandosi dal fango in cui era caduta. E’ finita con uno stadio pieno, con una Curva Nord e i Distinti strapieni, coloratissimi, straordinari nell’intensità con cui hanno tifato. Fantastici nel modo in cui hanno amato la Lazio. Perché i tifosi biancocelesti amano ancora di più quando si perde, amano ancora di più quando si perde dando tutto, provandoci, senza mai arrendersi. Finisce qui, la grande notte della Coppa Italia. Finisce senza vittoria, ma anche senza più paura di ciò che sarà per la Lazio che verrà.