Lunedì 25 maggio 2015 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Roma 1-2 25 maggio 2015 - Campionato di Serie A - XXXVII giornata - inizio ore 18.00
LAZIO: Marchetti, Basta, de Vrij, Gentiletti, Lulic (55' Cavanda), Parolo, Biglia (78' Cataldi), Felipe Anderson, Mauri (76' Djordjevic), Candreva, Klose. A disposizione: Berisha, Strakosha, Braafheid, Mauricio, Ciani, Novaretti, Pereirinha, Onazi, Ledesma, Keita. Allenatore: Pioli.
ROMA: De Sanctis, Torosidis, Manolas, Yanga-Mbiwa, Holebas, Keita (68' Pjanic), De Rossi, Nainggolan, Florenzi, Totti (61' Ibarbo), Iturbe (85' Doumbia). A disposizione: Skorupski, Lobont, Astori, Spolli, Maicon, Holebas, Cole, Balzaretti, Paredes, Uçan, Pellegrini, Gervinho, Ljajic, Sanabria. Allenatore: Garcia.
Arbitro: Sig. Rizzoli (Bologna) - Assistenti: Di Liberatore e Nicoletti - Quarto uomo Sig. Faverani - Assistenti di porta Sigg. Mazzoleni e Irrati.
Marcatori: 73' Iturbe, 81' Djordjevic, 85' Yanga-Mbiwa.
Note: ammoniti Totti, Lulic, Gentiletti, Biglia, Klose e Florenzi per gioco scorretto, Torosidis per proteste, Iturbe per comportamento non regolamentare. Angoli 4-8. Recuperi: 2' p.t., 5' s.t.
Spettatori: 50.000 circa.
La Gazzetta dello Sport titola: "La Roma in paradiso. Due gol e tanti sfottò Lazio, ti tocca soffrire. Iturbe e Yanga-Mbiwa a segno: secondo posto sicuro. I biancocelesti si giocano la Champions domenica a Napoli".
Continua la "rosea": Mai dire biscotto, finché non è ben cotto. Smentiti i malpensanti, la Roma vince il derby, si aggiudica il secondo posto e si garantisce la Champions League diretta. Lazio condannata a 90 minuti di sofferenza domenica al San Paolo contro il Napoli: una sconfitta la relegherebbe al quarto posto e in Europa League, perché a parità di punti la squadra di Benitez farebbe valere le due vittorie negli scontri diretti e si aggiudicherebbe terzo posto e pass per il playoff di Champions. Rudi Garcia si è asserragliato nella sua metà campo per difendere l'ultima trincea. Diceva bene uno striscione esposto nella curva romanista e rivolto ai dirimpettai laziali: «Per noi il minimo sindacale, per voi un trionfo mondiale». Giusto, la Roma è partita per vincere lo scudetto e il piazzamento d'onore alle spalle della Juve, acciuffato con certezza alla penultima giornata, seppure con una vittoria nel derby che è sempre una goduria, il secondo posto, dicevamo, va festeggiato con moderazione. L'obiettivo era un altro. Così come erano altri i progetti di gioco. Ieri per un'ora e passa la Roma non ha fatto altro che preservare lo status quo dello 0-0, rannicchiata com'era con nove uomini dietro la linea della palla. Formalmente un 4-3-3, di fatto un 4-1-4-1, con De Rossi schiacciato, più difensore centrale aggiunto che play basso. Spesso una difesa a cinque, per una sorta di 5-4-1, con De Rossi in difesa e con Totti malinconico vertice offensivo. Una formazione tenuta in piedi dal sudore di Florenzi e Iturbe, che sulle fasce si sono spremuti in una infinita serie di «vasche». Il francese Garcia se l'è giocata all'italiana, come da machiavellica nostra tradizione: al 37° turno tutti i mezzi vanno bene perché conta soltanto il fine.
Per un'ora la Roma non ha mai tirato in porta ed è inutile girarci attorno: i giallorossi hanno cominciato a rendersi pericolosi quando è uscito Totti, sostituito da Ibarbo, e quando poco più avanti Pjanic ha rilevato l'acciaccato Keita. La velocità è aumentata, la ricerca della profondità è venuta naturale. Un discorso già fatto. Totti non ha più il passo o perlomeno non ce l'ha più in partite ad alta intensità. Pjanic ha nei piedi una qualità irrinunciabile e vede in anticipo spazi dove in apparenza spazi non sembrano esserci. Appena entrato, il bosniaco ha imboccato Florenzi davanti alla porta, poi ha avviato l'azione del primo gol con un tacco a servire Nainggolan. A Pjanic va attribuita anche la primogenitura del decisivo 1-2, sua la punizione assist per la deviazione aerea di Yanga-Mbiwa. Massimo rispetto per Totti, che ha pieno diritto di gestire come gli pare il suo finale di carriera, ma negli ultimi tempi la Roma ha offerto il meglio senza il suo capitano. La Lazio ha in parte rivissuto il film della finale di Coppa Italia contro la Juve. A lungo ha sceneggiato la partita, però non ha capitalizzato ed è stata punita. L'avvio è stato bruciante, alla faccia di ogni speculazione sul «pareggiotto». Candreva a sinistra ha incenerito più volte Torosidis. Al minuto 5 Klose, in tuffo di testa e a porta spalancata, ha messo fuori. Nei successivi 70 minuti, prima dello 0-1 di Iturbe, la Lazio non ha combinato granché in attacco, nonostante l'evidente padronanza in campo. Una sterile superiorità, certificata soltanto dalla predominanza nel possesso palla, 63 per cento nel primo tempo e 61,9 nella ripresa. Andato in svantaggio, Pioli ha raddrizzato il risultato con l'innesto di Djordjevic. Sotto di un gol, è passato al 4-2-4 e Klose ha smesso di sentirsi orfano. Non appena Anderson ha servito in area un pallone degno della sua fama, Klose e Djordjevic se lo sono palleggiato alla grande di testa, col serbo ad appoggiare in rete.
A quel punto sarebbe servita saggezza: mancavano pochi minuti alla fine e nessuno avrebbe obiettato qualcosa se Pioli avesse preferito l'uovo subito (il pari col terzo posto garantito) alla gallina domani (la vittoria col secondo posto probabile). Invece la Lazio ha ceduto al pensiero che il ribaltone fosse possibile e sulla punizione di Pjanic ha calibrato male il fuorigioco: il gol di Yanga è regolare per centimetri. A De Vrij sarebbe bastato spostarsi un passo in avanti, ma l'olandese in quel momento non aveva il senso dello spostamento di Lotito, così la Lazio rischia ora di essere spostata dal terzo posto.