Domenica 21 dicembre 2014 - Milano, stadio Giuseppe Meazza - Inter-Lazio 2-2 Campionato di Serie A - XVI giornata - inizio ore 20.45
INTER: Handanovic, D'Ambrosio (90' Campagnaro), Ranocchia, Juan Jesus, Dodò (45' Medel), Kuzmanovic, Palacio, Guarin (75' Bonazzoli), Kovacic, Nagatomo, Icardi. A disposizione: Carrizo, Berni, Andreolli, Vidic, Obi, Mbaye, Krhin, Hernanes. Allenatore: Mancini.
LAZIO: Marchetti, Basta, de Vrij, Cana, Radu, Parolo, Ledesma (82' A. Gonzalez), Lulic (64' Onazi), Felipe Anderson, Klose (56' Djordjevic), Mauri. A disposizione: Berisha, Strakosha, Konko, Keita, Cataldi, Cavanda, Novaretti. Allenatore: Pioli.
Arbitro: Sig. Tagliavento (Terni) - Assistenti Sigg. Passeri e Barbirati - Quarto uomo Sig. Cariolato - Assistenti di porta Sigg. Guida e Maresca.
Marcatori: 2' Felipe Anderson, 37' Felipe Anderson, 66' Kovacic, 82' Palacio.
Note: ammoniti Felipe Anderson, Lulic, Klose, D'Ambrosio per gioco scorretto, Alvaro Gonzalez per proteste. Calci d'angolo: 9-0. Recuperi: 1' p.t., 3' s.t.
Spettatori: 36.344; incasso, abbonati e quota non comunicati.
La Gazzetta dello Sport titola: "Anderson boom, poi rimonta. E così l'Inter è ancora viva. Che carattere la squadra di Mancini, sperimenta ma parte malissimo e la Lazio scappa sul 2-0. Poi il cambio di sistema, il gol di Kovacic (super) e il pari di Palacio".
Continua la "rosea": E meno male che Icardi era in fuorigioco quando, all'ultimo secondo dell'ultimo minuto, ha ciabattato a lato, da posizione invidiabile, il pallone del 3-2 interista. Quello che avrebbe permesso di chiudere in modo assai promettente l'anno di una difficile rifondazione firmata Thohir. Oddio, Icardi ha tirato convinto, e per questo è proprio meglio che si sia alzata la bandierina... Se sorpasso poteva esserci, lo ha sventato Marchetti volando sotto l'incrocio a respingere il colpo di testa di Kovacic, signore del match. In quel momento l'Inter aveva appena ottenuto da Palacio la zampata del sofferto pareggio. Il genio di Kovacic (autore di una rete memorabile), la rinascita di Palacio (non segnava da maggio: alleluja) e tanta grinta: ecco i regali da conservare di questa ultima sfida dell'anno che avrebbe potuto vedere la Lazio solitaria al terzo posto o l'Inter dimezzare lo svantaggio dalla posizione Champions: il pari delude entrambe, però le tiene sul pezzo. E pensiamo che alla vigilia Pioli avrebbe firmato per il punto che gli permette di tornare in posizione nobile, sia pure in coabitazione. Però se dopo un'ora sei in vantaggio 2-0, un po' di amaro in bocca ti rimane.
C'è molto di incomprensibile nell'avvio ghiacciato dell'Inter, punita dopo appena 135 secondi dalla veloce penetrazione di Felipe Anderson, troppo agile perché Ranocchia possa intervenire e troppo preciso nel tiro perché Handanovic possa metterci una pezza. Il brasiliano, che parte a destra, non viene seguito nel suo spostamento verso il centro sinistra, e pazienza se pure Juan Jesus rimane di sasso: la bravura altrui va riconosciuta. Ma al di là di questa partenza sprint degli ospiti, sul piano tattico a stupire era stato l'atteggiamento ultra prudente di Mancini, presentatosi con una variante di difficilissima decifrazione, riassumibile in tre mosse del tutto inattese: 1) Nagatomo ala e Dodò terzino dietro di lui; 2) Kuzmanovic (e non Medel, in panca) schiacciato davanti alla linea difensiva, come se dovesse attendere un trequartista che la Lazio non ha mentre il trequartista presente in campo, Kovacic, viene dirottato a mezzala sinistra, di fianco a Guarin; 3) Palacio tornante di destra sulla linea degli altri centrocampisti. E' un 4-1-4-1 che sembra figlio di timore o consapevolezza che gli altri hanno qualcosa in più. Non sapremo mai qual era il piano.
Già perché questo assetto dura pochi minuti, in verità, chissà se proprio grazie al bel guizzo di Felipe Anderson. Adesso non sarebbe giusto affermare che l'Inter prende subito gol a causa dello schema di avvio. E comunque Mancini al 10' lo corregge in un 4-4-2 senza rombo ma decisamente più adeguato al contesto, restituendo a Palacio il suo naturale ruolo di punta, allargando un po' a destra Guarin, con Kuzmanovic e Kovacic affiancati e, soprattutto, invertendo l'ordine dei terzini: ora Dodò, che è più un'ala che un difensore, sta davanti a Nagatomo. L'allenatore nerazzurro ne ricava un lungo periodo di pressione su una Lazio ripiegata su un 4-5-1 che proverà a ribaltare in diverse occasioni dove persino Klose rientra a dare una mano nel cerchio di centrocampo. Proprio in occasione di una manovra di alleggerimento, lo scatenato Felipe Anderson fa un'altra passeggiata nel cuore dell'area tra gli sguardi ammirati di Ranocchia, Kuzmanovic e Juan Jesus e fulmina di nuovo Handanovic. Siamo al 37', Inter al tappeto. A risollevarla, in una ripresa dove Mancini si gioca nel finale le tre punte inserendo l'interessante Bonazzoli, c'è anzitutto l'abilità tecnica di Kovacic capace di trasformare in un gol spettacolare una respinta alta della difesa. Ma c'è anche quel coraggio, quella voglia di reagire. Probabile che il Mancio nell'intervallo abbia saputo toccare le corde giuste. Ma con Medel al posto di Dodò (infortunato e in cattiva serata), allargando Kuzmanovic e sfruttando poi la forza e la voglia di Bonazzoli (Guarin deludente), l'Inter, più razionale e aggressiva, si è guadagnata la sua pagnotta inchiodano i laziali nella loro area. Ci poteva scappare il clamoroso 3-2, come no. Ma Babbo Natale veste di rosso, non di nerazzurro.
Il Corriere dello Sport titola: "Anderson-Kovacic il bello del pari. Il brasiliano segna due grandi gol, poi prodezza del croato, Palacio firma il 2-2".
Prosegue il quotidiano sportivo romano: L'Inter ha buttato via il primo tempo, la Lazio il secondo e anche la vittoria. Hanno sbagliato in tanti in questa partita, a cominciare dai due allenatori. Mancini, che vuole a tutti i costi gli esterni, è entrato in partita con una squadra tatticamente sconnessa che poi ha rimesso a posto. Pioli, che era dentro la partita da protagonista, se l'è fatta sfilare in una ripresa di sole, autentiche difficoltà. Ma fra tanti errori (il campo era pessimo e non aiutava ad essere precisi) ci sono stati due ragazzini fantastici che hanno dato luce a tutta la sfida, un brasiliano da una parte, un croato dall'altra, vent'anni Kovacic, ventuno Felipe Anderson, gol e partitona per il primo, doppietta a San Siro per il secondo. Appena si è aperta la partita di San Siro, la Lazio ha stordito l'Inter. Se finora aveva sempre balbettato, dopo 2' ha perso l'uso della parola. Felipe Anderson, il nuovo fenomeno che sta irrompendo nel nostro campionato, l'ha incenerita con un guizzo fantastico, dopo un cross di Radu. In area interista e nei dintorni c'erano quattro laziali e tre nerazzurri, la difesa sembrava pronta e decisa a prendere quel gol, il brasiliano ha fregato sul tempo prima Ranocchia e poi Juan Jesus. Gol bello in una difesa inconcepibile.
Per 10', l'Inter è rimasta paralizzata. Poi la Lazio si è abbassata, forse troppo, e ha lasciato l'iniziativa alla squadra di Mancini. E qui siamo arrivati al secondo problema dell'Inter: di quella palla non sapeva cosa farsene. Kovacic, unico giocatore presente a se stesso e alla partita, alzava la testa e cercava un movimento che non arrivava né sugli esterni, né in attacco. E' vero che la Lazio si stava difendendo con 9 giocatori e gli spazi non c'erano, ma nessuno pensava a crearli, tant'è vero che le uniche conclusioni erano da fuori. Una squadra stordita, appunto. Se l'Inter, con Dodò, Nagatomo e Kuzmanovic, sbagliava spesso la misura dei lanci e degli appoggi, la Lazio era ugualmente imprecisa quando dava il via alle sue ripartenze. Sbagliavano tanto Lulic e Parolo, utili quando ripiegavano, meno quando dovevano cercare Klose (troppo fermo, però) e Felipe Anderson. Così il ragazzino ci ha pensato da solo a ribaltare di nuovo la frastornata difesa dell'Inter: Lulic ha vinto un duello aereo con Ranocchia sulla trequarti, la palla è schizzata a Felipe Anderson che ha infilato Juan Jesus per due volte e nella seconda gli ha fatto passare la palla fra le gambe.
Mancini non ha aspettato l'intervallo per il primo cambio, al 45' fuori Dodò e dentro Medel, l'Inter è tornata alla... normalità, col rombo, col cileno davanti alla difesa e Kovacic trequartista. Così aveva giocato e vinto a Verona contro il Chievo, ma si vede che a Mancio non bastava e cercando di sorprendere Pioli gli aveva regalato un tempo. Nel secondo, l'Inter era diversa, più lucida, più precisa, più arrembante. Kovacic era finalmente nella parte decisiva dell'azione, quella della rifinitura e dal giovane croato è arrivata la prima vera palla-gol sprecata da Icardi. La Lazio si era fatta schiacciare e non ripartiva più. O era stanca o era intimorita e in ogni caso non andava bene. Sulla respinta di testa di [[Parolo Marco|Parolo], dopo il settimo angolo dell'Inter, Kovacic ha fatto partire un siluro al volo che ha rimesso i nerazzurri in partita. Mancini ha cambiato ancora, fuori il disastroso Guarin, dentro Bonazzoli come ala destra, Inter col 4-2-3-1 nell'ultimo quarto d'ora. L'assedio si è fatto ancora più massiccio e l'Inter ha pareggiato con un altro calcio piazzato: è stato Bonazzoli a piazzare la palla per la testa di D'Ambrosio, tocco per Palacio che ha segnato dopo oltre 7 mesi. La squadra di Mancini non si è fermata e Marchetti ha tolto dalla sua porta un colpo di testa di Kovacic. La Lazio era franata. Dei 19 gol subiti, il 74 per cento li ha presi nel secondo tempo, segno che il calo è troppo netto. Il suo Natale è però quello sognato: terzo posto insieme alla Samp e al Napoli. Poteva andare meglio, ma va bene anche così.
Il Messaggero titola: "Lazio bella a metà".
Prosegue il quotidiano romano: La Lazio prima ha illuso, poi si è gettata via consentendo all'Inter di recuperare due reti nella ripresa. Le prodezze di Anderson non sono quindi bastate, nonostante il fantasista brasiliano abbia illuminato la caliginosa serata milanese con alcune giocate d'autore e una doppietta fantastica. Calimero è diventato un pulcino bianco che ha saputo danzare con il pallone tra i piedi, nel mezzo di una difesa nerazzurra imbalsamata. L'Inter, almeno nella prima frazione, si è confermata un aborto di squadra, nonostante l'impegno di Mancini che non è riuscito a rivitalizzarla del tutto. La Lazio di Pioli ha gettato alle ortiche il terzo successo consecutivo, sparendo letteralmente dal campo nella ripresa e ha vanificato l'ottimo primo tempo. Il pareggio le ha comunque consentito di raggiungere Napoli e Sampdoria al terzo posto, anche se i rimpianti sono stati tanti e giustificati. Nel primo tempo la Lazio ha messo in campo organizzazione, feroce determinazione e cuore, al cospetto di un avversario farraginoso: senza idee, senza qualità a centrocampo, impalpabile in attacco, inesistente sulle fasce, fragile davanti ad Handanovic. Solo approssimazione e forza di volontà, non un'identità di formazione importante. Due tempi dalle connotazioni diverse: tutto dei biancocelesti il primo, tutto nerazzurro il secondo. La Lazio ha meritato il doppio vantaggio, perché si è dimostrata applicata tatticamente, attenta nella copertura di ogni zona di campo, pronta a proteggere la difesa, soprattutto con Ledesma sempre sulla linea dei passaggi nerazzurri.
Il modulo di Mancini, con due punte e un trequartista, ha fatto acqua in tutte le zone e non ha mai creato occasioni pericolose. Una prova infarcita da una miriade di errori anche banali: nei passaggi, nell'attaccare gli spazi, nel cercare la profondità. Tocchi inutili, marcature labili, difesa vulnerabile. La Lazio è apparsa concreta e ha saputo interpretare bene sia la fase di non possesso, che lo sviluppo della manovra trovando in Anderson il protagonista che ha meritato la copertina. Il vantaggio, in avvio di match, il superbo raddoppio nel finale del tempo. L'Inter ha affrontato la ripresa con uno spirito molto diverso e con un furore agonistico assolutamente trasformato, decisa a recuperare la gara. La Lazio, dal canto suo, ha concesso campo, abbassando di molto la linea difensiva senza più riuscire a fare pressing e a ripartire negli spazi che l'Inter concedeva. I nerazzurri hanno quindi piantato le tende nella metà campo avversaria, recuperando subito palla e attaccando con continue folate offensive. I cambi di Pioli, per cercare di rinforzare gli ormeggi, non sono serviti così Kovacic ha pescato il jolly, con un destro fulminante da fuori, e Palacio ha riscaldato San Siro con il due pari. Una partita totalmente differente con una sola formazione a condurre il gioco e non sono bastate le parate di Marchetti e la buona prova di de Vrij per difendere il doppio vantaggio. Una grandissima occasione persa, un vero peccato.
Tratte dal Corriere dello Sport, alcune dichiarazioni post-gara:
Doveva, poteva vincere. Due gol di vantaggio all'intervallo, la partita in pugno, l'Inter in ginocchio e in attesa solo di essere estromessa in modo definitivo dalla corsa Champions. La Lazio non ha avuto la forza per arrivare in fondo e conservare il risultato. S'è fatta rimontare, ha rischiato di perdere, è sparita nella ripresa. Stanchezza, difficoltà enormi a gestire il pallone, zero filtro a centrocampo. Pioli è rimasto al terzo posto e si è sforzato di sorridere. Ha perso un'altra occasione per sterzare, cambiare passo e dare uno slancio ambizioso al suo campionato. Da sogno o da schiaffi? "Non s'è spenta la luce. L'Inter ha spinto tanto, non credo abbia creato tanto. Ci stava di soffrire. Dispiace. I due gol sono arrivati da palle inattive. Dovevamo gestire meglio il gioco nella ripresa, l'Inter era aggressiva, siamo usciti meno. La partita è cambiata con il gol di Kovacic, ci siamo abbassati troppo, ma la squadra ha giocato e lottato per novanta minuti". Il tecnico emiliano ha provato ad allontanare i cattivi pensieri. "Non c'è delusione. Volevamo vincere. Ci abbiamo provato. Abbiamo sbagliato qualche passaggio in uscita, la partita era nella direzione giusta. Il gol di Kovacic ha condizionato il finale. Noi dobbiamo continuare a lavorare e crescere. Ci siamo costruiti una buona classifica, ora vogliamo restarci, sapendo che si tratta di un risultato parziale. Se penso a dove siamo partiti i primi giorni di luglio, dico che abbiamo fatto un bel pezzo di strada. Ora si tratta di recuperare le energie, la sosta arriva nel momento giusto". Pioli non è entrato nel merito del ballottaggio eterno tra Klose e Djordjevic. "Ho tolto Miro perché era ammonito e stanco. Rifarei il cambio. Ho la fortuna di avere in organico due centravanti forti, la squadra è costruita in un certo modo, ci saranno occasioni in cui li utilizzeremo anche insieme, l'importante è che diano il proprio contributo".
Non hanno funzionato benissimo. Il problema è stato un altro, ha sottolineato Pioli. "Abbiamo fatto fatica a muovere la palla, perché i movimenti senza palla non sono stati continui come nel primo tempo. L'Inter ci ha fatto fraseggiare poco. Giocavamo a San Siro, stavamo soffrendo ma sino a un certo punto avevamo difeso con lucidità". Forse non avrebbe dovuto far uscire Lulic. "Avevamo bisogno di energie, Senad era tra gli ammoniti. La scelta pensavo in quel momento fosse giusta". Certo in mezzo sarebbe servito Biglia. "C'è mancato un passaggio in più per respirare, dovevamo trovare gli spazi per ripartire. Nel secondo tempo c'è mancato il fraseggio. Bastava muovere la palla, il recupero farlo preciso per ripartire. La partita l'ha riaperta una giocata individual di Kovacic, altrimenti pur soffrendo avremmo portato a casa la vittoria". Il pareggio di Palacio è stato preso su una palla inattiva. "Forse ci siamo staccati troppo presto, portando troppi giocatori dell'Inter dentro l'area, ma non l'ho ancora rivisto bene e non posso esprimere un giudizio compiuto". Restano le perplessità sul secondo tempo. Un'altra volta la Lazio ha fallito il salto di qualità. "Sapevamo le difficoltà che avremmo incontrato a San Siro, la prestazione resta importante. E' normale che se hai due gol di scarto, vuoi portare a casa la vittoria, ma non considero la rimonta subita una mancanza di maturità". Pioli aspetta un rinforzo in difesa. "E' un organico all'altezza. La società è attenta sul mercato, si farà quel che si può, un difensore è l'obiettivo dichiarato". Intanto si gode l'esplosione del brasiliano ex Santos. "Sono contento per come sta rendendo Felipe Anderson, sta lavorando bene, raccoglie le giuste gratificazioni. Credetemi, penso possa migliorare ancora molto. Quando rientrerà Candreva, sarà tanto di guadagnato".
Felipe Natale, nonostante tutto. Ecco i gol che fermano il tempo, ecco la realtà che supera i sogni e la fantasia. E' sera a Milano quando una nuova stella illumina il cielo e dirada la nebbia. Il giorno dell'incoronazione è arrivato nello stadio più regale. Il papà gli aveva chiesto un gol per il suo compleanno, era ieri. Neymar, il suo "fratellone", gli aveva dato appuntamento per oggi in Brasile, s'incontreranno, hanno un appuntamento: "Ci vedremo, ci siamo sentiti". Felipe Anderson accontenta tutti, è l'uomo che avvera i desideri e non deve chiedere mai più di giocare. Ora tutto è straordinario nella sua favola: "La dedica è per mio padre, oggi (ieri, ndr) è il suo compleanno. Mi aveva chiesto un gol, ne ho segnati due, sono felice, ma anche dispiaciuto per il pareggio. Che peccato". Non si ferma più. Quattro gol nelle ultime quattro partite (tra Coppa Italia e Serie A), la prima doppietta italiana timbrata alla Scala del calcio, in quanti possono vantare un record simile? A Felipe Anderson brillano gli orecchini e anche gli occhi: "Lavoro per arrivare ancora più in alto. Aspettavo il mio momento, è bello viverlo. I due gol hanno aiutato la Lazio nel primo tempo, ma purtroppo non sono serviti per vincere. Dobbiamo fare ancora meglio in queste partite". Quei due gol sono stati due eurogol, uno più bello dell'altro. Li ha progettati in velocità, con movimenti eleganti, con precisione, accelerando, sprintando, sgommando, dribblando. Felipe Anderson freme d'amore per suo padre, per la sua famiglia, per gli amici, per la Lazio, per Dio: "Ringrazio Dio, mi ha dato il dono del calcio, a lui dedico gloria e per lui faccio il meglio, il bene". La benedizione degli dei esiste, ma non ha potuto fare tutto da solo, ci ha provato, non è bastato.
Il terzo posto solitario è sfumato: "Ma dobbiamo ripartire dal primo tempo, dobbiamo continuare su quella strada. A Dio chiedo protezione per me e i miei compagni, voglio aiutare la Lazio, continuerò a farlo anche nel 2015. L'anno in corso si sta concludendo, prendo le cose buone, ma non ho fatto niente. Devo rimanere con i piedi per terra, con la testa sgombra, tranquilla. Mi devo confermare, è solo l'inizio di questo momento magico. Il lavoro mi ha portato qui". La Champions non è solo un sogno: "Abbiamo iniziato bene, trovando il gol. Abbiamo disputato un primo tempo perfetto, ma nel secondo sapevamo che ci avrebbero attaccati. Non siamo riusciti a bloccarli e ci siamo fatti raggiungere. Per la Champions serve continuità, dobbiamo continuare a lavorare per 90 minuti. Sappiamo che possiamo arrivarci in alto, abbiamo tanta qualità". Felipe Natale, è il motto più bello. Il suo sarà felice nonostante i rimpianti di S.Siro. In campionato è salito a quota tre gol, li ha siglati tutti in trasferta. In Coppa Italia aveva segnato contro il Varese, il poker l'ha calato così. La sua vetrina si sta arricchendo. Felipe Anderson non stupisce chi credeva in lui, Lotito e Tare erano tra questi, forse tra i pochi che ci hanno sempre puntato. E' cresciuto, è esploso. I segreti si conoscono: s'è rafforzato caratterialmente, ha sentito la fiducia di Pioli, s'è allenato per ore e ore, s'è impegnato in sedute extra di lavoro. Voleva migliorare, voleva imparare a giocare nel calcio italiano, l'ha studiato, l'ha capito. Felipe Anderson è così. Timido, riservato, dolce. E nel calcio, certe virtù, a volte giocano contro. Quei 7,5 milioni (è questo il suo costo a bilancio) oggi sono benedetti, oggi valgono lo sforzo, non sono più un rimpianto. Felipe Anderson non è più il predestinato "raccomandato", l'amico di Neymar, il ragazzo pagato a peso d'oro. Non ha paura, fa paura.