15 maggio 2019 – Roma, stadio Olimpico - Coppa Italia, Finale - inizio ore 20.45
ATALANTA: Gollini, Palomino, Djimsiti, Masiello, Hateboer (84' Gosens), De Roon (84' Pasalic), Freuler, Castagne, Ilicic, Gomez, Zapata (84' Barrow). A disposizione: Berisha, Rossi, Mancini, Reca, Ibanez, Colpani, Delprato, Pessina, Piccoli. Allenatore: Gasperini.
LAZIO: Strakosha, Luiz Felipe, Acerbi, Bastos (35' Radu), Marusic, Parolo, Leiva, Luis Alberto (79' Milinkovic), Lulic, Correa, Immobile (66' Caicedo). A disposizione: Proto, Guerrieri, Patric, Wallace, Romulo, Badelj, Cataldi, Durmisi, Neto. Allenatore: S. Inzaghi.
Arbitro: Sig. Banti (Livorno) - Assistenti Sigg. Vuoto e Manganelli - Quarto uomo Sig. Maresca - V.A.R. Sig. Calvarese - A.V.A.R. sig. Peretti - Riserva Sig. Marrazzo.
Marcatori: 82' Milinkovic, al 90' Correa.
Note: ammonito al 24' Bastos, al 36' Masiello, al 39' Lulic, al 41' Zapata, al 57' Leiva, al 79' Gomez, all'87' Marusic tutti per gioco falloso. Angoli 3-8. Recuperi: 1' p.t., 6' s.t.
Spettatori: 60.000 circa di cui 57.059 paganti per un incasso di Euro 3.069.744.
? La Gazzetta dello Sport titola: "Milinkovic. Festa Lazio. Entra e segna dopo 4' poi la chiude Correa. Ma l'Atalanta urla: "Bastos era rigore". Gli uomini di Inzaghi fanno il capolavoro nel finale ma pesa l’errore di Banti: non fischia il mani e la Var non interviene. Gasperini esplode davanti alle telecamere".
Continua la "rosea": Come andare a Roma e non vedere il Papu. Che alza la coppa. L’Atalanta è inciampata a ridosso del sogno. L’abbiamo chiamata l’Ajax d’Italia. Appunto. Il popolo bergamasco, che ha invaso Roma, ha applaudito comunque generosamente i nerazzurri e ha fatto bene, perché la finale resterà un ricordo di cui essere fieri e perché la Dea ha giocato una buona partita. Ha fatto più della Lazio, con più coraggio. Può recriminare un rigore incomprensibilmente sfuggito alla Var al 26’ nel primo tempo che avrebbe potuto raccontare un’altra storia, anche perché Bastos, reo del fallo di mano, già ammonito, sarebbe stato espulso. Ma l’Atalanta paga anche colpe proprie. Dei tre tenori, ha cantato solo Gomez, mentre Zapata e Ilicic hanno steccato. Invece Milinkovic, prima voce della Lazio, anche se acciaccato, è entrato al 33’ della ripresa e, dopo 4’, ha deciso. Le finali sono pianeti speciali che i campioni percorrono con una leggerezza diversa. Il serbo l’ha ribadito. L’Atalanta ha perso perché non ha saputo farsi più bella di quello che è, tradita dalle stelle. La Lazio, al contrario, ha vinto perché ha saputo farsi piccola, brutta e cattiva. E qui subentrano i grandi meriti di Simone Inzaghi che ha pilotato la squadra con intelligenza.
Ha accettato la superiorità di gioco dell’Atalanta, si è sforzato di incartarla, anche picchiando quando serviva, attendendo il momento buono per colpirla. Al 37’ della ripresa, quando Milinkovic sale in cielo,la Lazio non ha ancora tirato in porta, ma ha ammassato 8 calci d’angolo. Concesso il gioco al Gasp, Inzaghi si è preso i calci da fermo. E lì ha vinto. Bravo anche nei cambi, opportuni e calibrati. E così ha regalato la settima Coppa Italia alla Lazio che si è portata a quota Inter. Ora, davanti a sé, solo Roma (9) e Juve (13), prossima avversaria nella Supercoppa italiana. Primo tempo tattico e nervoso. Inzaghi ha gettato le reti addosso all’Atalanta e quando Gasperini è riuscito a strapparle, Banti le ha ricucite. Spieghiamo. Simone tappa le fasce con Marusic e Lulic che riescono a frenare la corsa di Hateboer e Castagne. La scelta di Marusic per Romulo si spiega anche con la maggior abilità aerea del serbo che, quando Strakosha rinvia dal fondo, si accentra e cerca di far sponda di testa. È così che la Lazio vuol evadere dal pressing alto dell’Atalanta. Neppure ci prova a costruire dal basso. Stretta e compatta, con baricentro basso, la squadra di Inzaghi riesce a togliere ossigeno ai bergamaschi e contenerli.
Il piano offensivo di Inzaghi prevede invece ripartenze tempestive ed aggressione centrale dove le maglie nerazzurre ogni tanto si allargano. E, in effetti, in un paio di occasioni Correa e l’impacciato Immobile si trovano nelle condizioni di affondare. Nei primi 45’ la Lazio non tira mai. Sembra che abbia un disperato bisogno dei corner per chiamare avanti Acerbi e sperare nella zuccata buona. L’Atalanta costruisce di più anche se l’Ililic che inizia la partita è il fratello svogliato e, come detto, sui binari laterali si corre poco. Il Papu cerca di legare con pazienza le giocate dei compagni e, un sassolino sull’altro, l’Atalanta al 26’ costruisce l’occasione che potrebbe decidere la finale. De Roon colpisce al volo dal limite, la palla viaggia fino a incocciare la mano di Bastos, sollevata in modo innaturale, e poi rimbalza sul palo. L’Atalanta si avventa famelica sulla respinta e sfiora altre due volte il vantaggio. A questo punto il Var, Calvarese, dovrebbe avvisare Banti del rigore solare, invece tace in modo incomprensibile. Come può sfuggire all’occhio elettronico un fallo del genere? Mistero glorioso. Bastos, già ammonito, sarebbe stato espulso. Significa che la finale esce dal suo binario naturale.
L’Atalanta avrebbe potuto portarsi in vantaggio di gol e di uomini per poi infierire in contropiede. Nulla. Inizia una realtà parallela. Inzaghi, spaventato, toglie subito Bastos e Banti rischia di perdere il controllo del match. Un velenoso rasoterra di Castagne lega il primo tempo al secondo: anche a campi invertiti è l’Atalanta che crea. Gasp ha fatto la mossa: il Papu largo per toglierlo dalle unghie di Leiva (3-4-3). Inzaghi si arrende all’evidenza e sostituisce l’irriconoscibile Immobile con Caicedo. L’Atalanta tira il fiato, la Lazio cresce a metà tempo e Correa rischia di capitalizzare un erroraccio di Djimsiti nella zona centrale, la più vulnerabile. Al 33’ Inzaghi si gioca l’ultima carta: Milinkovic che fa la storia incrociando in cielo l’ennesimo cross da corner. Il raddoppio di Correa punisce una Dea ormai in ginocchio a raccogliere i cocci del sogno. La finale, anche persa, resta una medaglia al petto. Ora Gasp dovrà essere bravo a far smaltire la botta e a non compromettere la volata Champions, traguardo storico. Per Inzaghi, dopo la Supercoppa ’17, il trofeo che corona l’ottimo lavoro e potrebbe diventare il più abbagliante degli addii. Vedremo cosa ne penserà Lotito che mette in bacheca il 5° trofeo. E gongola.
? Il Corriere dello Sport titola: "La dea è la Lazio, settimo sigillo. Gasperini e l’Atalanta dei miracoli cedono nel finale: Milinkovic di testa, Correa di prepotenza. Inzaghi azzecca i cambi, i biancocelesti raggiungono l’Inter nell’albo d’oro".
Prosegue il quotidiano sportivo romano: Era destino. Magica e infinita la notte della Lazio, illuminata dai gol di Milinkovic e Correa. Due colpi da ko per stendere l’Atalanta negli ultimi otto minuti di una finale palpitante, equilibratissima, piena di contrasti e di duelli. Sembrava calcio inglese d’altri tempi, con la pioggia dell’Olimpico e un clima invernale come cornice. Nella bacheca di Lotito entra la settima Coppa Italia della storia biancoceleste, terza della sua gestione. Stagione salvata, perché vale l’accesso ai gironi di Europa League e un assegno da 25 milioni. Il capolavoro lo ha firmato Inzaghi, è il suo secondo trofeo dopo la Supercoppa strappata alla Juve nel 2017. Lo ha assistito e seguito un gruppo d’acciaio, capace di resistere e domare alla distanza una squadra fortissima, in piena forma, imbattuta dalla fine di febbraio. Forse sarebbe stato più facile affrontare l’Inter o il Milan, non questa Atalanta. Strano assistere al digiuno di Zapata, Ilicic e Gomez. Il centesimo gol stagionale non è arrivato. Gasp di solito vince alla distanza. Si è dovuto arrendere alla forza della Lazio, con lo spirito giusto, umile e compatta, capace di rispondere colpo su colpo. Bellissimo e prepotente il gol di testa di Milinkovic. Se la Lazio ha segnato con il primo tiro nello specchio, il tridente dell’Atalanta non è mai stato pericoloso, contenuto da Luiz Felipe, Acerbi e Radu.
Già, perché Inzaghi ha avuto la lucidità di togliere Bastos (a rischio rosso) nel momento più delicato e ha indovinato l’ingresso di Caicedo. Proprio l’ecuadoriano, spazzando l’area da difensore, ha lanciato in contropiede Correa (migliore in campo, immarcabile e irresistibile) per il raddoppio che ha fatto esplodere l’Olimpico al novantesimo. Giusto così. L’Atalanta ora continuerà a inseguire il sogno Champions. Gasp in partenza ha tolto i riferimenti certi a Inzaghi e rispetto al precedente di campionato ha invertito le posizioni di Freuler e De Roon, di Masiello e Djimsiti, ma soprattutto di Ilicic e Zapata. Lo sloveno si è piazzato di fronte a Luiz Felipe, Zapata gravitava nella zona di Acerbi, l’Atalanta lasciava libero per scelta Bastos, il meno abile nel palleggio. Atteggiamento più accorto, la linea difensiva non era alta come al solito. La Lazio aveva allestito una gabbia intorno a Gomez. Leiva si è incollato all’argentino, a turno Correa e Immobile avevano il compito di "schermarlo" per non fargli arrivare la palla. L’ex Liverpool era il più propositivo, una fitta ragnatela di passaggi, si appoggiava a Luis Alberto, ma era soprattutto Correa a dare le scosse giuste. Troppe volte l’azione laziale si è spenta al limite dell’area. Mancava l’ultimo passaggio. Immobile pattinava in folle.
Gasp al ventesimo ha riportato Ilicic a destra, dove riesce a essere più imprevedibile e liberare il suo piede sinistro. Bastos ha beccato il giallo per un’entrata in scivolata su Gomez e subito dopo ha toccato con la mano il destro di De Roon, respinto dal palo. Doppia occasione per l’Atalanta, perché l’olandese in mischia ci ha riprovato subito, murato da Luiz Felipe. Il Var non è intervenuto. Doveva essere rigore e secondo giallo per Bastos. La partita si è incattivita, trasformandosi in un corpo a corpo. Duelli, contrasti, tackle a tutto campo. Inzaghi, nel timore che l’angolano prendesse un’altra ammonizione, lo ha sostituito con Radu. Banti ha tirato fuori altri tre cartellini gialli prima dell’intervallo, Masiello era da rosso su Correa. Gasp in apertura di ripresa si è ripresentato con Gomez attaccante esterno. Tre punte vere, l’argentino a sinistra e non più nel cuore del campo, dove era stato controllato bene. L’Atalanta ha accentuato la pressione, ma non riusciva a sfondare, il Papu ha scheggiato l’incrocio da posizione impossibile. Luis Alberto e Correa cercavano l’imbucata. Dietro Palomino si avventava su ogni pallone, con pazienza la Lazio stava salendo metro su metro, aiutata dai cambi di Inzaghi.
E’ uscito Immobile, è entrato Caicedo. Simone ha tolto Luis Alberto per Milinkovic. Le sponde dell’ecuadoriano hanno permesso alla Lazio di guadagnare campo e conquistare due o tre angoli di fila. L’ultimo lo ha calciato Leiva, il serbo ha staccato più in alto di tutti e ha incornato in rete. Era entrato da quattro minuti. L’Atalanta si è rovesciata in avanti a caccia del pareggio e ha beccato il secondo, fulminata da un contropiede di Correa. Lancione di Caicedo. L’argentino si è avventato sulla palla, dribbling su Freuler, ha fatto secco anche Gollini e ha scaricato di sinistro in rete. Favoloso.
? Il Messaggero titola: "Lazio, una coppa di gioia. Milinkovic e Correa in finale mandano ko l'Atalanta. I biancocelesti alzano al cielo il settimo trofeo nazionale. Conquistata anche la qualificazione alla fase a gironi dell'Europa League e la sfida di Supercoppa con la Juve".
Prosegue il quotidiano romano: Le braccia tese di Lulic che sollevano la Coppa Italia. La settima della storia della Lazio. Coriandoli tricolori saturano l'aria e squarciano il grigio. Milinkovic, informato, che sale al cielo nel momento più difficile della partita. Correa che la chiude ricamando il raddoppio. Istantanee di una vittoria. Vincere è bello. E lo è ancora di più farlo nel proprio stadio e davanti ai propri tifosi. Esulta la Lazio che batte la bella Atalanta. La squadra più incensata di questa stagione. E a ragione per come ha giocato. Finisce 2-0, Sì, ha vinto la Lazio che rompe la monotonia in bianco e nero del campionato. Perché diciamocelo chiaramente, in Italia siamo abituati a veder esultare una solo squadra: la Juve. In una sera di metà maggio ma con un clima da novembre, i biancocelesti aggiungono nuovi colori alla stagione. Se lo scudetto è roba esclusiva dei bianconeri, la Lazio si è rivelata reginetta di coppa. L'unica a togliere ad Allegri la super coppa nel 2017. Gli anni dispari sorridono ai biancocelesti che dopo il successo storico del derby di finale nel 2013 tinge anche la Coppa Italia del 2019.
Un successo che salva una stagione perché oltre al trofeo la Lazio si prende un posto nella prossima Europa League e il diritto di giocarsi la Supercoppa Italiana contro la Juventus (17 agosto all'Olimpico l'ipotesi principale. C'è anche il presidente Lotito sotto la Curva Nord a ricevere gli applausi, terza Coppa Italia della sua gestione. Serata amara per la Dea che gioca una bella partita ma viene punita dalla maggiore voglia della Lazio. Bravo Inzaghi a cambiare in corsa portando i biancocelesti in Paradioso. Nel momento più difficile della partita Simone si prende la responsabilità di togliere Immobile e Luis Alberto mandando dentro Caicedo e Milinkovic. Scelte profetiche perché fino a quel momento i biancocelesti stavano soffrendo parecchio l'iniziativa e la velocità dei nerazzurri. Le due squadre se la giocano a testa alta e senza esclusione di colpi. Entrambe si prendono rischi. Il tecnico biancoceleste sceglie Marusic al posto di Romulo, il montenegrino è più adatto al terreno reso pesante dalla pioggia incessante di Roma. Gasp, invece, dopo la gara di campionato dell'Olimpico inverte gli esterni d'attacco. Gomez gioca spesso dal lato di Bastos e Ilicic, tra i migliori in campo, da quello di Luiz Felipe.
Scelta maturata proprio dopo la sfida del 5 maggio in cui lo sloveno venne limitato al massimo proprio dall'angolano. Quest'ultimo graziato da Banti per un mani in area nell'occasione del palo colpito da De Roon (sarebbe stata anche espulsione). Gasperini, che inizialmente non se n'era accorto, diventa una furia quando lo rivede: "Episodio gravissimo, non ha giustificazioni. Il Var non ha credibilità. Detto questo faccio i complimenti alla Lazio". Inzaghi vede in difficoltà Bastos e lo boccia dopo appena 35 minuti mandando dentro Radu. La Dea gioca con le linee molto strette facendo densità proprio in quel reparto. Meglio i ragazzi di Gasp che per larghi tratti imprimono ritmi alti alla partita mandando in affanno i laziali costretti a rincorrere. Qui la vera intuizione di Inzaghi. Più peso a centrocampo e in avanti con Milinkovic e Caicedo. Il serbo con una capocciata lancia in alto la Lazio. Correa con un gol straordinario la manda in Paradiso. Esplodono i laziali. La curva bergamasca applaude Gasperini e i suoi ragazzi. Ma Roma anche stavolta di tinge di biancoceleste.
? Tratte dal Corriere dello Sport, alcune dichiarazioni post-gara:
Sergente d’acciaio e Tucu-man, i due nuovi supereroi della Lazio. Il primo, forza e determinazione. Il secondo, velocità e classe. Sergej Milinkovic e Joaquin Correa, gli eroi dell’Olimpico. I nomi da inserire nella storia. Il trionfo biancoceleste passa dalla loro potenza e qualità. Hanno spostato gli equilibri e la Coppa Italia, l’hanno sistemata nella bacheca di Formello. Giocate magiche, di ascia e di fioretto. Milinkovic, recuperato in extremis e in panchina per l’occasione: pronto a subentrare nel secondo tempo. Correa, la certezza di Inzaghi alla vigilia: l’attaccante a cui non è spettata la staffetta a partita in corso. L’argentino è stato intervistato a caldo, gli fumavano ancora gli scarpini. Si è esaltato in un clima quasi invernale, ha trasformato i difensori dell’Atalanta in paletti e ha iniziato lo slalom gigante. Una prodezza da alchimista: un rilancio sparacchiato in avanti da Caicedo, diventato l’assist per il 2-0: "È una grandissima soddisfazione, questa Coppa Italia significava tanto per noi, ce la meritavamo! Anche l’Atalanta ha fatto una grande cavalcata, questo trofeo era importantissimo, ci inserisce nella storia di questo club".
Correa era stato decisivo anche a San Siro, nella semifinale di ritorno con il Milan. Un raggio laser passato sotto le gambe di Reina. Ieri sera s’è bevuto Freuler, ha sgommato sull’uscita di Gollini, l’ha saltato prima di sparare in porta con il mancino. Ha fatto scattare la festa in anticipo, al novantesimo, senza il timore di una rimonta nei minuti di recupero: "La felicità è incredibile, non abbiamo mai mollato durante le difficoltà, pure dopo tante partite brutte. Questo ha reso il nostro gruppo ancora più forte. È un grande successo per la nostra famiglia, è stato sicuramente uno dei gol più importanti della mia carriera". Correa ha ricamato il gioco e finito di cucire la coccarda tricolore sulla maglia della Lazio. Milinkovic, al 79', aveva portato ago e filo in campo: tre giri di orologio per metterci lo zampino. Anzi, il capoccione. Ha utilizzato la caviglia infortunata per staccare più in alto di Djimsiti, il gigante di Gasperini. Ha vinto il duello aereo con le molle sotto ai piedi. Il colpo di testa, la corsa sotto la Nord, il selfie per celebrare il momento decisivo. "I miei problemi fisici? Abbiamo vinto, ora non ci sono più! I ringraziamenti vanno fatti a tutti, non solo a me e Correa".
Milinkovic s'era fermato il 24 aprile a Milano per una doppia distorsione, al ginocchio e alla caviglia. Il suo rientro è stato sofferto, sudato, sperato. Solo nei sogni se l'era immaginato così: "È stata dura dopo l’infortunio, però ho fatto il massimo con lo staff medico, mi hanno preparato per questa partita. Il mister mi ha fatto entrare nella ripresa, vedendo quello che è successo possiamo dire che ha fatto una buona mossa. La gara era dura, entrambe le squadra hanno avuto chance, i due gol ravvicinati hanno ammazzato gli avversari. È successo tutto in cinque-sei minuti". Una rivincita in serbo. "Eravamo tutti un po' in crisi, abbiamo avuto tutti questi momenti. Le chiacchiere arrivano da gente che non capisce di calcio. Non voglio far arrabbiare nessuno: dico solo che se qualcuno commenta così non vede quello che succede dietro e che vediamo noi. Prendete Immobile, le persone guardano solo chi segna e non il lavoro che viene svolto. Dedico la rete ai miei cari in tribuna, sono felicissimo per me e per loro. Una grandissima gioia. Ora basta però, che andiamo a mangiare...". Cena meritata dopo aver saziato i palati più fini.
La Coppa Italia è vinta, la Lazio può esplodere in un urlo liberatorio. La stagione è salva, la qualificazione in Europa raggiunta: "È stato un anno difficile - ammette il ds Tare - con alti e bassi. Abbiamo perso la battaglia per la Champions League, ma un trofeo rimane nella storia. Dedico il successo a tutti i tifosi laziali, a tutta la nostra gente". Poco prima ci aveva pensato Acerbi a riassumere il senso di questo successo: "Una serata perfetta, meglio di così non poteva andare". Il difensore biancoceleste ha continuato: "Non avevamo preparato alcuna festa per scaramanzia, ora ci godiamo questo successo meritato e che vale doppio. La verità è che rischiavamo di uscire da tutto, così oltre a vincere un trofeo ci siamo garantiti l'accesso all'Europa". Poi spiega la partita: "Non è stata bellissima, ma ci abbiamo messo tanta tenacia e voglia di vincere, con ignoranza e cattiveria". Acerbi ha approfittato dell'occasione pure per difendere Wallace: "Capisco i fischi, chi paga il biglietto ne ha il diritto. Ma credo che questi dovrebbero essere fatti eventualmente a fine partita, non durante. Tutti sbagliamo. Sentire i tifosi sostenerci fino in fondo ci può dare qualcosina in più per provare a ribaltare il risultato. Invece c'è troppo pessimismo nel calcio in generale. Ciò non toglie che la nostra gente sia straordinaria, l'ha dimostrato. Questa coppa è anche per loro".
Tocca a Immobile poi presentarsi ai microfoni, per togliersi anche qualche sassolino dalla scarpa: "Sono qua da tre anni, ho giocato tre finali, due le ho vinte. Ho segnato quasi 80 gol, sono entrato nella storia di questa gloriosa società e ne sono orgoglioso. Non sarò Giordano, Klose o Signori, non lo sarò mai: ma ogni volta che esco dal campo, lo faccio con la maglia sudata e la testa alta. Parlano i numeri, ma ciò non significa che ci si debba sempre aspettare da me due gol a partita. Se segnano gli altri e vinciamo va benissimo lo stesso". Ha concluso capitan Lulic: "Dopo Cagliari volevo che la squadra mantenesse alta la concentrazione. Ci siamo riusciti e ora ci godiamo il risultato".
E’ altissimissimo, è inarrivabile Senad Lulic, dio dei laziali, quando alza al cielo di Roma questa settima meraviglia di Coppa Italia, anche le sue mani diventano d’oro. L’eroe del 26 maggio è il capitano del 15 maggio, sale in alto, riporta la Lazio in cima alla città, dal suo trono domina la Capitale diventata CapItalia biancoceleste e il nome di quella vecchia banca non c’entra niente. E’ questa la Lazio da amare, quella che dà alla testa. In alto c’è lei, torna in Europa, è un infinito questa vittoria. Si festeggia di padre in figlio. L’Olimpico laziale è in delirio, piombano tutti in campo. Esplodono bottiglie di ogni cosa che bagna e frizza. E’ scatenato Inzaghi, allarga le braccia e si dimena, le fa danzare, le muove vorticosamente, guardando la moglie Gaia, il secondogenito Lorenzo e il fratello Pippo. Simone, in campo, viene stritolato dall’abbraccio del primogenito Tommaso, cinge il papà, quasi lo fa cadere a terra, ha la sciarpa al collo. Sono baci pieni di gioia, d’amore, di vita e di... dubbi. Inzaghi ha gelato tutti nella prima intervista concessa in mezzo alla festa. Alla Rai gli hanno chiesto del futuro e lui è sfuggito alla domanda su cosa accadrà domani: "Ciao, grazie...", ha risposto. Tare lo ha confermato, l’allenatore non ha raccolto: "Le cose non sono sempre così scontate. Il rapporto con il ds è ottimo, ci incontreremo con lui e con il presidente".
Simone, prima del "ciao", ha celebrato l’impresa dei suoi ragazzi-eroi, che intanto stavano facendo il giro d’onore: "Ce la meritiamo questa Coppa, abbiamo fatto un grandissimo cammino in Coppa Italia! Volevamo questa vittoria. E’ stata una bellissima serata davanti a un pubblico meraviglioso. Grandissima gara, combattuta come in campionato, decisa dagli episodi. Stavolta siamo stati bravi a farli girare dalla nostra parte. Chi è entrato ha fatto il suo, a volte è importante chi va in campo dopo. I ragazzi meritano questa gioia". E’ rinata ancora una volta all’ultimo, la Lazio. Ha vissuto due volte quest’anno. E’ stata capace di riaccendere il suo cuore che sembrava spento e quello dei tifosi. Non molla mai, neppure quando ha la bava alla bocca e sembra trascinarsi. E non perde velocità quando vede il traguardo, pure se ha l’andatura ballerina. Lotito sotto la Nord. Inzaghi superstar in campo, campione della storia della Coppa Italia, rinominata Simone Cup, l’ha vinta in tutto 6 volte nei panni di giocatore, allenatore della Primavera e finalmente da allenatore della Lazio dei big, questo qui è il bis di Coppa dopo la Supercoppa del 2017. E’ scatenato Lotito, scatta dalla Tribuna d’Onore, entra in campo, tiene una mano sulla spalla destra del figlio Enrico e s’invola sotto la Curva Nord dopo qualche tempo. Gli monta in groppa il direttore della comunicazione De Martino, corrono verso le balaustre sfidando gli storici contestatori. E’ la terza Coppa Italia del presidente, altri ne contano zero.
Anche Igli Tare stringe a sé i suoi bambini. Tutti indossano le maglie col numero 7 sulle spalle, preparate alla vigilia, tirate fuori al momento giusto, c’è scritto "Vic7ory", è il settebello della storia biancoceleste. La scaramanzia ha avuto il suo peso. Lotito, allo stadio, ha portato Don Vincenzo, il frate che ha benedetto il centro sportivo nuovo di zecca. E la squadra, prima di salire sul pullman per raggiungere l’Olimpico e la finale, ha visto un video motivazionale, si è caricata così. Luccica la Coppa Italia sotto il cielo di Roma, sotto la Curva Nord mentre si balla "chi non salta della Roma è", luccica in giro per il campo. Se la riprende Lulic, il protagonista dei video che fanno e rifanno la storia della Lazio, il preferito dagli dei laziali. Nel cielo biancazzurro, a notte fonda, brilla una Coppa, c’è una stella più grande di tutte su Roma. E la storia continua.
Dalla Gazzetta dello Sport:
C'è tutto Simone Inzaghi col suo cuore biancoceleste mentre sta salendo la scaletta per la premiazione. Il tecnico della Lazio allarga lo sguardo sull’Olimpico in festa e abbraccia capitan Lulic. Sono frammenti di storie personali che sono soprattutto storia biancoceleste. Tra loro c’è la forza di una complicità che ha fatto rinascere la Lazio. Dopo la Supercoppa di due anni fa, questa Coppa Italia eleva Inzaghi al secondo posto nella classifica dei successi degli allenatori laziali: ha fatto meglio di lui solo Sven Goran Eriksson (7 titoli), suo tecnico nello scudetto 2000. Simone però si toglie anche i sassolini dalle scarpe quando parla dei suoi programmi: "Il mio futuro? Io sto qui da vent’anni, questa è casa mia. A fine stagione ci vedremo e valuteremo. Non sempre le cose sono così scontate come sembrano. È stata una bellissima serata, davanti a un pubblico meraviglioso – dichiara Simone Inzaghi -. Abbiamo fatto un’ottima gara, combattuta". Rende merito agli avversari di una finale decisa solo allo sprint. "Onore all’Atalanta, ma questa volta siamo stati bravi a far girare gli episodi dalla nostra parte". E rimarca un aspetto che riconosce personalità e maturità alla sua Lazio scivolata in questa stagione troppe volte quando doveva dimostrare una nuova dimensione, soprattutto in campionato all’inseguimento del sogno Champions. E ancora una volta Inzaghi ha saputo tirar fuori dal cilindro delle sue doti strategiche la mossa del cambio vincente. L’ingresso di Milinkovic faceva parte di un copione illustrato alla squadra per l’assalto finale alla Coppa. "Lo avevo detto ai ragazzi che in certe occasioni chi entra a partita in corso può essere decisivo". E poi è solo felicità per un trionfo più bello di quanto potesse immaginare. "Ce la meritiamo questa soddisfazione, abbiamo fatto un grandissimo cammino – conclude Inzaghi -. Volevamo questa Coppa perché ce l’abbiamo messa davvero tutta".
Non è ancora finita, non è ancora passata. La festa e la sbornia per la coppa vinta durano anche oggi. Per i tifosi, per la squadra, per la società. La Curva Nord è rimasta piena molto dopo il fischio finale, lo è rimasta molto dopo la premiazione. Perché nessuno voleva perdersi nemmeno un istante, nessuno voleva perdersi un briciolo di emozione. La settima Coppa Italia vinta regala emozioni speciali ai laziali. Perché salva la stagione, perché garantisce per il terzo anno di fila la partecipazione all’Europa League, perché permette di scavalcare la Roma nei titoli totali conquistati (15 a 14). Entusiasta anche il presidente Claudio Lotito, al quinto trofeo della sua gestione: "Abbiamo meritato di vincere e questo conferma che la squadra ha le potenzialità per raggiungere grandi traguardi. Una presenza stabile in Europa League ci permetterà di raggiungere col tempo l’Olimpo delle grandi squadre. Io ho sempre investito per migliorare questo club, sono i numeri a parlare e a testimoniarlo". Finita la partita i giocatori della Lazio hanno indossato una maglia con il numero sette (chiaro riferimento alle Coppa Italia vinte) formato dai volti di tutta la rosa. Lo speaker dell’Olimpico ha citato l’anno di ogni titolo conquistato, accompagnato dal boato dei tifosi biancocelesti. L’esultanza più rumorosa è stata ovviamente per il 26 maggio 2013, quando la Lazio si impose sulla Roma nell’unico derby capitolino che abbia mai assegnato un trofeo.
Anche per i giocatori però l’emozione è stata forte. La panchina biancoceleste ha di fatto invaso il campo in occasione del raddoppio di Correa, prima di correre, tutti insieme, sotto la Curva. I gol, d’altronde, sono arrivati proprio sotto la Nord, da sempre la parte più calda del tifo biancoceleste. Così non era mai successo. Così la Lazio non aveva mai vinto. In 119 anni di storia è la prima volta che i biancocelesti vincono una finale a gara secca con più di un gol di vantaggio. Dalla Coppa Italia conquistata con la Fiorentina nel 1958, fino alla Supercoppa strappata alla Juventus nel 2017, passando per il 26 maggio e i trionfi europei contro Maiorca e Manchester United, la Lazio aveva sempre vinto soffrendo fino all’ultimo secondo. Non che contro l’Atalanta il risultato sia stato acquisito molto prima, ma è comunque un risultato storico. Inzaghi, fra l’altro, con il suo secondo trofeo diventa il secondo allenatore più vincente di sempre per i biancocelesti alle spalle del suo maestro Eriksson (arrivato a quota sette titoli). Forse anche per questo, dopo un periodo difficile, Lotito ha voluto ribadirgli la fiducia: "La classifica del campionato non rispecchia le nostre qualità, ma il tecnico non è e non è mai stato messo in discussione. Sono leggende metropolitane nate a causa di alcune sconfitte. Per me è un figlio adottivo, lo ho portato dalla Primavera alla Prima Squadra". E oggi si ritroveranno a Formello per abbracciarsi più forte che mai. Perché la festa non è ancora finita.