Lunedì 16 marzo 2015 - Torino, stadio Olimpico - Torino-Lazio 0-2 Campionato di Serie A - XXVII giornata - inizio ore 19.00
TORINO: Padelli, Maksimovic, Jansson, Bovo, Peres, Benassi, Basha (78' Farnerud), El Kaddouri, Gaston Silva (63' Darmian), Amauri, Martinez (62' Maxi Lopez). A disposizione: Castellazzi, Ichazo, Glik, Moretti, A. Gonzalez, Quagliarella. Allenatore: Ventura.
LAZIO: Marchetti, Basta, de Vrij, Mauricio, Radu, Cataldi (57' Onazi), Biglia, Parolo; Felipe Anderson (80' Ederson), Klose, Mauri (57' Keita). A disposizione: Berisha, Strakosha, Novaretti, Cavanda, Braafheid, Lulic, Ledesma, Perea. Allenatore: Pioli.
Arbitro: Sig. Orsato (Schio - VI) - Assistenti Sigg. Preti e Vivenzi - Quarto uomo Sig. Stefani - Assistenti di linea Sigg. Mazzoleni e Abisso.
Marcatori: 71' Felipe Anderson, 75' Felipe Anderson.
Note: osservato un minuto di raccoglimento in memoria dell'arbitro Sig. Luca Colosimo della sezione di Torino deceduto in un incidente stradale. Ammoniti: Maksimovic per proteste, Amauri, Radu, El Kaddouri e Basta per gioco falloso. Angoli 4-6. Recuperi: 0' p.t., 3' s.t.
Spettatori: paganti 2.858 per un incasso di euro 61.065,00, abbonati 10.074 per una quota partita di euro 124.428,00.
La Gazzetta dello Sport titola: "Toro Anderson, Lazio terza! Granata incornati dalla doppietta del brasiliano: Pioli stacca il Napoli nella corsa Champions e arriva a -1 dalla Roma seconda. Ventura pensa all'Europa e paga il turnover".
Continua la "rosea": C'è partita finché Felipe Anderson non decide... di deciderla: metà ripresa, Klose lo innesca, lui si produce nella sua tipica progressione veloce, con dribbling e finte che fanno fuori l'intero reparto arretrato del Toro. Proprio così, il brasiliano salta prima Maksimovic, sul controllo, poi Jansson, sullo slancio, e infine Bovo al momento della conclusione: sono tre i difensori schierati da Ventura e fin lì si erano ben comportati. Poi il tiro della punta brasiliana, nell'angolino, è quasi una carezza che lascia ammirato Padelli. La Lazio ha trovato un'altra aquila su cui volare. Verso la Champions, certo: quinto successo consecutivo, il passo è decisamente accelerato ed è giusto uscire allo scoperto, come aveva fatto Pioli alla vigilia di questa trasferta. Col Napoli staccato di tre punti e, soprattutto, la Roma ormai a un solo passo la Lazio è la squadra del giorno. E questo derby che elettrizza la Capitale adesso promette di durare sino all'ultima giornata mentre Rafa Benitez non può che accusare il colpo, trovandosi nella scomoda posizione di chi deve riconquistare un traguardo che pareva al sicuro appena un mese fa. Espugnare l'arena del Toro non è mai facile, ma quest'anno i biancocelesti c'erano già riusciti in coppa Italia e pure in campionato l'Olimpico della Capitale aveva applaudito il successo laziale.
Giusto sottolineare, in tema di entusiasmi, che qui alla fine la festa è per due. I biancocelesti vanno a salutare i loro super appassionati che hanno sfidato questa coda invernale e adesso cantano sotto la pioggia. Mentre la Maratona chiama sotto i suoi gradoni gli sconfitti, per incitarli e spronarli in vista del retour match di coppa. Non si vede spesso e non si vede dappertutto una simile reazione a una sconfitta casalinga: la curva del Toro è pronta a fare la sua parte giovedì per rimontare lo Zenit. Del resto era stato Ventura a dettare al suo popolo la priorità: l'Europa prima dell'Italia. Quindi in campo ha mandato una formazione piena di seconde scelte, ricavandone comunque un primo tempo più che dignitoso. Se Amauri al 28' fosse riuscito ad angolare lo smash sul cross perfetto di Gaston Silva, per la Lazio si sarebbe fatta dura perché i 45' iniziali non promettevano la cavalcata vista nella ripresa. Con Quagliarella, Glik e Moretti in panca e Darmian e Maxi Lopez calati solo per la mezzora conclusiva, Ventura ha preparato l'assalto allo Zenit cercando di cavarsela col minor danno possibile al cospetto di una Lazio impegnata a inseguire la coppa del prossimo anno e perciò molto più motivata di chi occupando una tranquilla quanto anonima posizione di metà classifica doveva per forza privilegiare l'impegno con i russi (0-2 a San Pietroburgo).
E comunque il Toro ha controllato il confronto per oltre un'ora, manovrando anche meglio degli avversari, resisi pericolosi nel primo tempo solo con un tiro da fuori di Parolo. Il punto di svolta, il segnale di allarme per i granata, giunge al 64', quando il tenero Keita, da poco subentrato a Mauri, si divora in modo sciagurato (ah, i vent'anni...) un delizioso assist di Felipe Anderson (ma guarda). Alla seconda occasione (Klose intercetta un appoggio orizzontale di Basha) il brasiliano ignora giustamente il compagno e fa tutto da solo. Scardinando la porta di Padelli. Qui il Toro ha un sussulto con Darmian, che da lontano riesce a spedire un tiro maligno nell'angolino basso dove però arrivano le braccia di Marchetti. Parata difficile e pure decisiva visto che di lì a tre minuti Anderson concede il bis facendo vedere a Keita come si sfruttano i passaggi da gol (di Klose). E' il 2-0 del pokerissimo biancoceleste. Nulla più si può chiedere al Toro che riesce a servire soltanto in una occasione il suo ariete Amauri con un cross di El Kaddouri deviato a fil di traversa. Finisce così una partita gradevole orientata da una prodezza personale più che da una evidente superiorità di una Lazio comunque sempre più convinta.
Il Corriere dello Sport titola: "Lazio, scalata show".
Prosegue il quotidiano sportivo romano: Un'altra conferma, la Lazio è diventata una grandissima squadra e può trasformare il sogno Champions in una solida realtà, come direbbe Lotito che non va più in trasferta e applaude in silenzio da casa. Dopo la show con la Fiorentina, sotto la pioggia di Torino è arrivata la quinta vittoria consecutiva. Un rullo compressore: 12 gol all'attivo, uno solo al passivo. Pioli ha eguagliato Reja, l'ultimo allenatore della Lazio capace di piazzare la cinquina. Era il 2010. Maturità, padronanza totale del campo, la doppietta decisiva di Felipe Anderson, nuova stella del campionato. Tre punti di vantaggio sul Napoli, terzo posto consolidato e aggancio in vista alla Roma, ora solo a un punto. Partite così complicate si possono perdere o almeno pareggiare. La Lazio non ha quasi mai rischiato di finire sotto e ha avuto la pazienza di attendere settanta minuti per sbloccare il risultato. La squadra gioca a memoria, sembrava sapesse che il gol prima o poi sarebbe arrivato. Merito di Pioli. Ha trasmesso mentalità offensiva, sicurezza e ha indovinato i cambi, perché Onazi ha restituito adrenalina al centrocampo e l'ingresso di Keita ha aggiunto pericolosità all'attacco: i suoi scatti in profondità hanno aperto la difesa del Toro. Tutto, però, sarebbe stato inutile senza la doppietta da urlo di Felipe Anderson. Il brasiliano, in ombra per un'ora abbondante, si è scatenato quando ha preso il posto di Mauri come trequartista. Pazzesco il suo primo gol: ha saltato in velocità Maksimovic, ha resistito alla carica di Jansson e ha folgorato Padelli con un destro preciso dal limite. Dentro tanta classe, ma anche lo spirito di sacrificio e il triplo recupero palla a centrocampo di Klose, Radu e Parolo. Il tedesco, ieri formidabile suggeritore, sei minuti dopo ha regalato in contropiede a Felipe l'assist per il raddoppio. Padelli ha solo sporcato il sinistro del brasiliano. Niente da fare per Ventura, che tenterà la rimonta in Europa League con lo Zenit.
Come era successo negli ottavi di Coppa Italia, Pioli ha ritoccato la disposizione del tridente, chiedendo a Mauri di muoversi dietro a Klose (largo a sinistra) e Felipe Anderson, in partenza da destra. Il capitano della Lazio gravitava nella zona di Basha (rilanciato dopo un anno a causa delle assenza di Vives e [[Gazzi Alessandro Carlo|Gazzi) e gli altri due avevano il compito di disturbare il giro-palla "basso" di Ventura, che affida l'avvio dell'azione ai tre difensori centrali. Così sono venuti fuori duelli speculari in ogni zona del campo con Cataldi-El Kaddouri e Parolo-Benassi al contrasto continuo. Basta attaccava Gaston Silva e Bruno Peres se la vedeva con Radu. Il Toro aveva invertito le punte. Il piccolo Martinez davanti a de Vrij e Amauri a intimidire Mauricio. La Lazio ha preso subito il comando delle operazioni e ha tenuto palla senza mai perderla per quasi mezz'ora. Pressione costante, non tanto ritmo, la solita predisposizione a verticalizzare. Gli spazi stretti e il campo viscido per la pioggia rendevano complicato l'ultimo passaggio. La squadra biancoceleste esprimeva grande sicurezza nel palleggio senza riuscire a mordere. Intorno al 20' le due occasioni migliori. Padelli ha deviato in angolo il diagonale sinistro di Parolo, Cataldi non ha indovinato la mira dopo essere stato liberato al limite dell'area da un triangolo con Mauri e Parolo. L'unica azione del Toro con l'imbucata giusta per la discesa di Gaston Silva. Sul cross, Amauri ha colpito di testa sicuro di segnare e invece ha trovato la respinta di Marchetti. Il pallone è rimbalzato e Martinez, ancora di testa, non è riuscito a metterla dentro.
Nella ripresa la Lazio è scesa in campo ancora più cattiva e determinata a cercare la vittoria. Pioli ha cambiato Mauri con Keita, ma non l'assetto, chiedendo a Felipe di muoversi da trequartista. Due gol falliti dallo spagnolo sono stati il prologo alla doppietta del brasiliano. Nel mezzo Marchetti ci ha messo una bella pezza, deviando in angolo il tiro velenoso di Darmian. Sarebbe stato il gol del pareggio. Subito dopo la Lazio ha chiuso la partita, meritando e segnando come sanno fare solo le grandissime squadre.
Il Messaggero titola: "Lazio e Felipe da Champions".
Prosegue il quotidiano romano: Per commentare il momento magico della Lazio bisognerebbe scomodare Giuseppe Verdi e la sua musica immortale. Quinta vittoria consecutiva, zona Champions sempre più rafforzata, avversari schiacciati, gol e spettacolo: un'autentica marcia trionfale. Una squadra che non conosce ostacoli, nemmeno la pioggia e il freddo, di una serata tipicamente invernale, sono riusciti a frenarne il passo. Un successo all'insegna dell'extraterrestre Anderson e del gemellino Keita: 41 anni insieme e un bagaglio di tecnica e fantasia immenso che autorizza a pensare in grande. Quelli che, fino a qualche settimana fa, erano soltanto dei sogni, oggi sono diventati splendide realtà. La ricorsa in classifica, corroborata da prove importanti e tanti gol e dettata dal cuore, ha portato i biancocelesti a essere la terza forza del campionato, con il Napoli ormai a 3 lunghezze e il secondo posto sempre nel mirino. A illuminare la piovosa notte torinese ci ha pensato una stella brasiliana, quel Felipe Anderson diventato l'elemento più incisivo e decisivo della formazione. Il nuovo "Poeta del Gol": un calciatore che danza con il pallone, lo muove con disinvoltura e astuzia, salta avversari come birilli, imprime traiettorie magiche, colora ogni giocata con vocalizzi d'alta scuola. Il "Poeta del Gol", quando il Torino stava prendendo confidenza con la partita, si è preso sulle spalle la squadra rubando la scena con una doppietta che ha impreziosito una serata da incorniciare. Al suo fianco ha brillato l'altro giovanotto Keita che ha conferito maggiore determinazione, profondità e forza a un attacco che appariva spuntato sia per la cattiva prova di Mauri, che per la marcatura spietata attuata su Klose.
Mentre Ventura è andato incontro a un suicidio, perché ha lasciato fuori contemporaneamente Darmian, Glik, Moretti e Quagliarella, risparmiati per il ritorno di Europa League contro i russi, Pioli ha indovinato le scelte nel momento topico della sfida. Ha visto una Lazio sottotono, senza vivacità, piuttosto prevedibile e così ha deciso, in un colpo solo, di cambiare 2 pedine dello scacchiere: fuori lo sbiadito Mauri e l'incerto Cataldi, per Keita e Onazi. Il centrocampo è migliorato in robustezza, l'attacco è apparso letteralmente trasformato. Ventura ha preferito la Coppa al campionato, Pioli ha capitalizzato al massimo il turno prendendosi vittoria e terzo posto. L'ingresso di Keita ha permesso ad Anderson di muoversi in spazi più ampi nei quali il brasiliano è stato devastante. Così i biancocelesti hanno sfruttato alcuni errori marchiani in uscita dei granata per affondare le azioni e portarsi a casa i 3 punti nella ripresa. Quella che, dopo un primo tempo anonimo, sembrava una gara avviata verso il pareggio, è diventata una passerella e un viatico in ottica Champions League. Per la formazione di Pioli si è trattata della terza affermazione contro il Torino, compresa quella di Coppa Italia, ma questa ha un peso specifico molto più consistente. Se Anderson ha meritato la copertina e Keita un bel voto in pagella, bisogna sottolineare la crescita complessiva della squadra, molto più quadrata e in grado di leggere bene le situazioni di gioco. Una sola rete incassata, nelle ultime 5 giornate, è lo specchio di questo miglioramento in ogni reparto. La Lazio sa interpretare bene le due fasi e ha avuto dalla sua parte anche un pizzico di buona sorte. Tutto è importante per puntare in alto perché i biancocelesti, oltre a un gioco collaudato e redditizio, hanno tutto per guardare lontano con giustificate ambizioni. Ora non si possono più nascondere: se brillano le stelle, anche nelle notti di pioggia, allora tutto può succedere.
Tratte dal Corriere dello Sport, alcune dichiarazioni post-gara:
La quinta di Pioli ha un significato preciso: "Giochiamo da grande squadra". Ecco la sintesi. Con la Fiorentina era stato uno show, calcio spettacolo. A Torino la squadra biancoceleste si è imposta con maturità. "E' l'aggettivo appropriato. Stiamo crescendo molto. Con la Fiorentina avevo visto molta forza caratteriale, la squadra aveva trovato compattezza resistendo al ritorno dei viola nonostante non fosse arrivato subito il raddoppio. Ora sappiamo difendere il risultato, siamo molto più consapevoli. I risultati stanno dando convinzione ai giocatori, sappiamo di avere le qualità per sbloccarla in qualsiasi momento, ma dobbiamo concedere il meno possibile ai nostri avversari. Non siamo stati brillanti come altre volte. Mentalmente, però, abbiamo giocato da grande squadra". La Lazio ha cercato e trovato il gol dopo settanta minuti di pressione e senza concedere al Torino le ripartenze classiche del gioco di Ventura. "Abbiamo dimostrato di essere in crescita continua. Maturità, intelligenza, lucidità. Dovevamo forzare di più il ritmo nel primo tempo. Ma la squadra ha mantenuto compattezza e spirito di sacrificio, centrando un risultato importante su un campo difficile come quello del Torino". Pioli ha raggiunto il primato di Reja. Dal 2010 la Lazio non vinceva cinque partite di fila in campionato. Il sogno Champions si può trasformare in una solida realtà. "La classifica non la guardiamo ancora, abbiamo questa mentalità, dobbiamo mantenere lo stesso atteggiamento. La prossima partita è sempre quella più importante, cercheremo di vincere anche con il Verona domenica prossima". L'ingresso di Keita e Onazi ha favorito la scossa provocata dalla doppietta di Felipe Anderson. "Rientra nei miei concetti, non si deve sbagliare la formazione iniziale, ma ho sempre pensato che la panchina sia altrettanto importante. I cambi hanno dato brillantezza e aggressività. Era una partita in cui rimaneva difficile trovare degli spazi. Dovevamo contrastare il Toro e ripartire. Nel primo tempo riuscivamo a rubare palla, ma sbagliavamo l'ultimo passaggio. Volevamo gestire la palla con l'intenzione di giocarla tra le linee. Andavamo in profondità senza precisione".
Il brasiliano si è scatenato nella ripresa. "Nel primo tempo non mi era piaciuto" ha raccontato Pioli, che si è messo a sorridere quando dagli studi di Sky hanno suggerito un ipotetico scambio con Neymar del Barcellona. "Non sono la persona giusta, toccherebbe alla società decidere. Felipe ha grandissime qualità, sono convinto che possa essere ancora più completo e decisivo. Per questo gli serve un processo di crescita qui alla Lazio. Anche Cristiano Ronaldo, ma non voglio paragonare i due, è diventato un grande campione passando momenti in cui sembrava giocare più da solo che per la squadra. Nel primo tempo Felipe ha fatto un colpo nella nostra metà campo, ma è ancora giovane e queste cose ci possono stare. Con umiltà può crescere ancora tanto e diventare un giocatore imprendibile per gli avversari. Io ho avuto solo il merito di allenarlo, aveva bisogno di fiducia e di poter lavorare con serenità e impegno. Sta facendo cose importanti, ma credetemi: può ancora migliorare". Pioli è un perfezionista e ieri sera si è sforzato di non celebrare la Lazio. "La grande soddisfazione è la voglia che ci mettono i miei giocatori. Vedere Klose giocare in questo modo è un esempio per tutti. Ora non possiamo e non dobbiamo pensare di essere al massimo delle nostre potenzialità. C'è ancora tanto da migliorare. A Torino, per esempio, sarebbe servito più ritmo nel primo tempo".
Comanda lui, dice e decide tutto lui: "Ora siamo terzi, ci dobbiamo credere ancora di più, possiamo arrivare più in alto!". Ancora di più, ancora più su. A questo serve il nuovo fenomeno del calcio italiano, a far volare la Lazio, a farle vivere nuovi sogni e nuovi traguardi, a far credere che le favole sono vere. Non è nato su Marte, è nato sulla terra, in Brasile. Non si ferma sui traguardi, continua ad andare. E non gli basta il terzo posto: "La Champions? Ci crediamo fin dall'inizio della stagione anche se eravamo partiti un po' male. Ma abbiamo continuato sulla nostra strada e oggi siamo felici". Il nuovo fenomeno l'ha scoperto la Lazio, beata lei. Felipe sa come far sognare, sa come far girare le gambe, sa come si vince. E' irrefrenabile, è immarcabile, è imprendibile, è imparabile: "Dopo il primo gol ero un po' stanco e ho chiesto il cambio, per fortuna sono rimasto e ho segnato il secondo...". Era stanco, Felipe. Poi s'è reso conto che era più stanco di vincere solo 1-0, ha deciso di giocare ancora e di stravincere, ha cambiato la partita e il destino: "Sono felice perché ho aiutato i miei compagni". S'inchinano tutti davanti a re Felipe Anderson, con uno così sta stretto anche il terzo posto, si può sognare il secondo. Le ultime magie hanno migliorato la collezione personale. Il primo gol rifilato al Torino è stato da manuale del calcio. Ha preso palla, ha superato in souplesse Maksimovic, non s'è fatto buttare giù da Jansson e Bovo, ha infilato Padelli con un colpo di biliardo: "Portavo palla e volevo passarla, ma il difensore non è uscito, sono contento di aver segnato il primo gol del match". Il secondo è stato diverso, più potente. Dov'è Dunga? Chi sta guardando? Felipe merita il Brasile eppure non lo chiamano: "Sono tranquillo, ogni giocatore vuole la Nazionale, ma aspetto con pazienza e penso a far bene con la Lazio". Dopo il match col Verona partirà, raggiungerà il ritiro dell'under 21, sarà anche la nazionale Olimpica brasiliana, ma uno come lui non può star fuori dalla Nazionale di Neymar, suo fratello calcistico. Felipe pensa alla Lazio, pensa alla Champions. Il futuro, per lui, è solo questione di tempo, è già deciso: "Sappiamo di avere le qualità giuste per stare lì in alto. Ora bisogna rimanere concentrati per la prossima partita con il Verona". C'è chi l'ha paragonato a Cristiano Ronaldo, lui non fa il gradasso: "Non c'è paragone, devo continuare la mia crescita, devo aiutare questa squadra".
Felipe Anderson, basta il nome, il resto mancia. E' disarmante la facilità con cui occupa il campo e sequestra gli avversari, di qualsiasi tipo e valore. Felipe Anderson dribbla tutti anche sotto la pioggia, in campo va ad orecchio, come certi grandi musicisti. Lui non suona, lui inventa calcio. I suoi numeri sono pazzeschi, ha centrato la seconda doppietta laziale (la prima la firmò a Milano contro l'Inter, era dicembre). Quando parte titolare la Lazio è imbattuta, dal match di Coppa Italia con il Varese (2 dicembre 2014) la squadra ha perso tre volte. Felipe Anderson non c'era nelle partite contro Napoli (0-1) e Cesena (2-1) ed entrò solo nel secondo tempo di Lazio-Genoa (i rossoblù conducevano 0-1). Nelle ultime 10 partite da titolare (tra campionato e Coppa Italia) il signor Felipe Anderson ha firmato otto gol e sette assist, è stato decisivo anche contro la Fiorentina (non segnò, ma si procurò il rigore siglato da Candreva). E' capocannoniere laziale con Klose e Mauri, è scatenato. Con i fenomeni non serve fare i conti, finiscono anche le parole.